Stracchini, alle origini di un prodotto
che racconta la «civiltà dei bergamini»

Raccolte in un volume le appassionate ricerche di Irene Foresti per le edizioni del Centro Studi Valle Imagna. Un percorso che segue la storia dell’uomo fin dalle epoche più lontane incrociando nel cammino miti e leggende.

Stracchino. Non diceva altro il piccolo cartello che identificava un bel pezzo di formaggio su una bancarella al piazzale Goisis, a Bergamo. Più noto come mercatino dello stadio, al tradizionale appuntamento per chi abita nel Borgo Santa Caterina e nei quartieri più vicini quel sabato le presenze erano scarse. Dopo la lunga chiusura imposta dal coronavirus, i banchi erano tornati ma solo quelli di generi alimentari, ed anche questi erano pochi.

Distanziati come d’obbligo, i clienti aspettavano il loro turno. C’era tutto il tempo per passare in rassegna l’esposizione.

Non era cambiato niente: la solita varietà di formaggi: dai bergamaschi ai lombardi, a quelli di altre regioni. Qualità, tagli, forme diverse, prezzi accessibili. Ma la nostra attenzione era per quel mezzo stracchino di bell’aspetto: colore, spessore, pasta, crosta, tutto deponeva a suo favore. Fresco di lettura del volume «Stracchini», frutto delle appassionate ricerche di Irene Foresti per le edizioni del Centro Studi Valle Imagna, c’era più di una ragione per osservare un prodotto che sulla tavola dei bergamaschi, anche senza la diffusione di un tempo, è sempre ben accolto.

Un istante, e mentre guardavo è scattata la memoria di un tempo, come una serie di flash che andavano ad illuminare la vita di quasi ottant’anni fa nella cascina medievale di Pontida. La nonna Nina, la mungitura dell’unica vaccherella, il latte ancora tiepido filtrato con un telo bianco, i «formagèi» dentro i piccoli stampi in legno da dove colava il siero. La nonna non li chiamava, e giustamente credo, «strachì» anche perché non avevano né le dimensioni né la pasta dello stracchino vero e proprio, mentre del tutto diverso era l’ambiente da cui aveva origine; era una produzione occasionale quando, a suo giudizio, avanzava un po’ di latte dal consumo quotidiano della famiglia. Ed era quasi una festa per i bambini mentre un pezzetto di quel tenero «formagèl» veniva avvolto in una fetta di polenta calda, poi fatta abbrustolire sopra la brace del camino usando come supporto le molle per attizzare il fuoco. Lo «schissöl» – così veniva chiamata in famiglia quella specie di focaccia – era la nostra merenda di un gelido inverno di tanto tempo fa.

Nel bel volume di Irene Foresti, pure da citare tra le benemerenze della ricca e interessantissima attività editoriale del Centro Studi, la storia dello stracchino non è solo quella di un prodotto alimentare molto noto nelle valli bergamasche e in Lombardia, ma si identifica con la «civiltà» dei bergamini ai quali da diversi anni il Centro Studi dedica una particolare attenzione.

Il direttore Antonio Carminati, nell’introduzione all’approfondita ricerca della Foresti, sottolinea come si siano intraprese anche iniziative concrete per il recupero e la tutela di manufatti caratterizzanti la cultura bergamina, tra cui edifici e stalle dai tipici tetti in piöde.

In questo contesto è nato il progetto della «Strada della pietra e dello stracchino», il cui itinerario, dalla Valle Imagna alla Valsassina, alla Val Taleggio, si estende su un territorio dove l’ambiente umano ha stretti legami con la civiltà del latte. Senza dimenticare la bellezza dei luoghi attraversati, l’importanza storica e architettonica dei manufatti che si incontrano lungo il percorso.

Se quel mezzo stracchino visto al mercato dello stadio ha avuto il potere di portare indietro nel tempo, il libro della Foresti (che già conosciamo per un’altra pubblicazione riguardante la Valle Brembana con il volume «Cibo, terra e lavoro» pure edito dal Centro Studi) ha il merito, e non solo, di aprire orizzonti nuovi alla conoscenza di un prodotto sicuramente molto diffuso ma considerato modesto. Di «stracchini» ce n’è un’infinità e, se vogliamo, la loro storia incomincia con la nascita del primo formaggio. Lo stracchino si presenta come un formaggio semplice – «illusoria semplicità» - ma per fare uno stracchino «non è sufficiente solo scegliere la stagione giusta e fare attenzione alla temperatura di caseificazione… È necessario che si instauri un particolare microclima fatto di conoscenza del prodotto in sé, sapienza casearia, condizioni ambientali ed inventiva».

L’ampia, appassionata (e appassionante) ricerca dell’autrice conduce il lettore lungo un percorso che segue passo dopo passo la storia dell’uomo e dei popoli fin dalle epoche più lontane incrociando nel cammino miti e leggende (c’è anche il gigante Polifemo, pastore e produttore di cacio: che si tratti proprio del nostro stracchino?) per arrivare fino ai nostri tempi. Un viaggio affascinante, nel corso del quale si scopre come un alimento in apparenza semplice abbia avuto un ruolo importante sulla tavola e anche come marcatore sociale dando vita a quella che viene definita la «civiltà dei bergamini».

Un paio di secoli fa l’agronomo veneto Francesco Gera definiva lo stracchino «una specie di formaggio, che si fa per ogni dove, e che quasi per tutto trovasi eccellente». A questa fin troppo vaga definizione va contrapposto quanto scrive Irene Foresti all’inizio: «Quella degli Stracchini… è una famiglia come tutte le altre. Alcuni dei suoi componenti sono divenuti famosi o quantomeno noti (Gorgonzola, Taleggio, Crescenza, Quartirolo, Salva ecc.), mentre altri, come sempre i progenitori e i capostipiti, sono rimasti nell’ombra, ma non bisogna dimenticare che hanno contribuito a trasformare una produzione casearia di stampo stagionale in un vero e proprio stile caseario, declinato in modo diverso a seconda di zone geografiche, necessità ambientali-produttive, abitudini linguistiche ecc., ma sempre riconducibile ad una matrice comune».

Nonostante quanto scriveva l’agronomo Gera di un formaggio che «si fa per ogni dove», ero tra quanti considerano lo stracchino come il prodotto di aree ben circoscritte. Smentiti dall’indagine della Foresti che lo colloca in un’area che abbraccia praticamente tutto il Nord Italia (Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli), cui va aggiunta buona parte del Centro (Toscana, Umbria e Lazio), con propaggini che – ammette l’autrice – «mai penseremmo interessate da tale fenomeno: Campania, Abruzzo, Sardegna, Puglia e Basilicata». L’epicentro resta comunque la Lombardia; non solo: di stracchino in stracchino, questo viaggio ci conduce direttamente alle Orobie dove, oltre alla «notevole fioritura di Stracchini locali o sub-locali», le «produzioni tradizionali più consistenti» sono quelle di montagna. Tra queste Irene Foresti elenca Val Brembana, Val Taleggio, Val Serina, Valle Imagna, Monte Bronzone (Lago d’Iseo) e Val di Scalve; ed è negli abitati valdimagnini di Brumano, Fuipiano, Locatello, Corna Imagna, Sant’Omobono Terme e Berbenno che «si è conservata una tradizione casearia fondamentalmente incentrata sugli Stracchini».

Ho definito questa ricerca della Foresti un viaggio tra culture, tradizioni, consuetudini che spazia nel tempo e ambienti molto vari. E la stessa origine etimologica del nome stracchino da stracco ci conduce agli itinerari seguiti stagionalmente dai bergamini con le loro mandrie: «poiché – scrive – si tratta di un formaggio caratteristicamente prodotto con il latte delle vacche stanche (strache in vernacolo) nel periodo della transumanza dagli alpeggi alla pianura e viceversa». E non poteva mancare quella che può essere definita una rivisitazione e valorizzazione culinaria di questo formaggio con ricette che, grazie al contributo dello chef Enrico Capelli, spaziano dagli antipasti, ai primi, ai secondi piatti, fino al dessert. Senza dimenticare che già nell’Ottocento ci imbattiamo in gelati-sorbetti che si ispiravano allo stracchino. A questo punto, golosità a parte, non posso non fare mia l’affermazione della Foresti quando scrive che «senza lo Stracchino se ne andrebbe una parte della storia culturale, sociale, linguistica, tradizionale, produttiva e culinaria di molte zone l’Italia». E pensare che il più delle volte facciamo riferimento a «semplici» stracchini.

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