Spazi e turisti, una sfida per Città Alta

IL CONVEGNO. Mercoledì 26 aprile nella sede del Teatro Tascabile di via Colleoni 21, si parlerà di «gentrification», la trasformazione demografica e sociale che coinvolge città e quartieri. I residenti scesi dai 7.800 del 1950 ai 2.610 di oggi. Prevalgono i liberi professionisti.

Nella lingua inglese, a partire dal XIV secolo, il termine gentry venne usato per indicare una piccola borghesia terriera che dalle campagne tendeva a trasferirsi in città, comprandosi con i soldi un titolo nobiliare. In tempi molto più recenti, la parola gentrification è stata coniata per significare – rubiamo la definizione a un testo di sociologia - «la conquista di un territorio urbano centrale da parte di un gruppo di persone differenti per posizione di classe rispetto agli abitanti precedenti». Un processo di questo tipo è avvenuto per esempio a New York, a Londra, a Berlino, a Milano, con la trasformazione del Greenwich Village, di Soho, di Prenzlauer Berg e di diverse aree della Cerchia dei Navigli in quartieri cool, con prezzi delle case che spesso vanno molto oltre le possibilità degli affittuari storici.

Come seconda tappa del percorso «Il confine: ciò che unisce, ciò che separa» - pensato per Bergamo e Brescia Capitale italiana della Cultura -, la Fondazione A. J. Zaninoni e il Centro culturale Nuovo Progetto hanno organizzato in collaborazione con Lab 80 film una tavola rotonda a ingresso libero sul tema «Gentrification: alla ricerca di soglie di equilibrio. L’esempio di Città Alta». Mercoledì alle 17.30 nella sede del Teatro Tascabile – in via Colleoni – prenderanno la parola Nino Gandini («memoria storica» di una serie di realtà impegnate nella tutela del territorio, da Italia Nostra a Castrum Capelle, all’Associazione per Città Alta e i Colli) e Federica Burini, docente di Geografia, presidente del corso di laurea magistrale in Planning and Management of Tourism Systems all’Università di Bergamo e coordinatrice scientifica dell’Imago Mundi Lab del Centro studi sul Territorio «Lelio Pagani».

Nel corso dell’incontro – coordinato da Agnese Capitanio e con accompagnamento musicale a cura di Martina Sacchi – verranno proiettate foto e filmati d’epoca. Commentando queste immagini e avvalendosi di altri documenti d’archivio Gandini, che è anche membro di Nuovo Progetto, tratterà dei cambiamenti demografici e sociali avvenuti in Città Alta dagli anni Cinquanta del secolo scorso. Oggigiorno – osserviamo -, percorrendo in un fine settimana l’affollatissima «Corsarola», riesce difficile pensare che in un passato non lontano molte case di Bergamo Alta fossero insalubri o addirittura fatiscenti: il «quartiere modello» di Monterosso fu costruito proprio perché i loro abitanti vi si trasferissero. «Le vicende di Città Alta – risponde Nino Gandini – sono emblematiche di un processo che ha caratterizzato molti centri storici, in Italia e altrove. Nel caso di Bergamo Alta, disponiamo di dati precisi che documentano una tendenza allo spopolamento, acuitasi negli ultimi decenni. Non solo: se consideriamo le cifre relative al 1971, notiamo che al tempo la distribuzione della popolazione – sia per fasce di reddito, sia per età – corrispondeva grossomodo a quella dell’intera città. Nel 2011, invece, tra i residenti all’interno delle Mura il rapporto era cambiato, con un netto aumento dei liberi professionisti rispetto ai lavoratori dipendenti». Questo fatto dà a pensare? «Direi di sì. Del resto, molti studiosi sostengono che il venir meno di una comunità “mista”, equilibrata al suo interno, incida negativamente sulla vitalità del tessuto sociale».

Dagli anni Cinquanta a oggi, di quanto è calata la popolazione di Bergamo Alta? «Da 7.800 abitanti si è arrivati a 2.610, anche se i dati più recenti pubblicati dal Comune comprendono Borgo Canale. La situazione ha delle analogie con quella della municipalità centrale di Venezia (escluse cioè le aree della terraferma): le curve che evidenziano un decremento della popolazione sono quasi sovrapponibili. Si constata, a Bergamo Alta come nei sestieri veneziani, anche uno sbilanciamento dei servizi offerti ai turisti rispetto a quelli per i residenti. Intendiamoci: in Italia, dal turismo e dal suo indotto deriva il 13 per cento del Pil, e chi possiede un immobile ha il pieno diritto di metterlo a frutto anche mediante degli affitti brevi. Tutti questi aspetti però vanno governati, se si vogliono evitare i danni causati dall’overtourism, con un netto scadimento della qualità di vita di chi a Bergamo Alta ancora risiede».

L’intervento a seguire, di Federica Burini, avrà per titolo «Il futuro dei centri storici in trasformazione tra fattori dinamizzanti e di giustizia spaziale: il caso di Città Alta». «Nell’epoca della globalizzazione – spiega la relatrice -, ogni tendenza di rilievo ha una portata al tempo stesso generale e locale. Per quanto riguarda il fenomeno di una progressiva “turistificazione di massa”, in Italia esso ha toccato dapprima le grandi città d’arte come Venezia e Firenze: questa fagocitazione dei centri urbani, in qualche misura sottratti ai loro residenti, non è però imputabile solo al turismo, ma a più fattori, che vanno interpretati in una prospettiva interdisciplinare». Anche Federica Burini condivide l’idea che «la rarefazione di determinate categorie di abitanti entro un tessuto urbano abbia un impatto pesante su una serie di aspetti, che vanno dalla fornitura di servizi al mercato immobiliare. Alcuni gruppi sociali finiscono con l’essere decisamente avvantaggiati rispetto ad altri. Proprio tali questioni sono state messe a fuoco in un progetto partecipativo (“Città Alta Plurale”) che io ho seguito con il Centro studi sul Territorio “Lelio Pagani”, in vista della revisione del “Piano particolareggiato per Città Alta e Borgo Canale” del Comune di Bergamo».

«Le tensioni che in molte città e borghi storici sembrano caratterizzare il rapporto fra turisti e residenti – spiega Federica Burini - possono intensificarsi oppure diminuire a seconda dell’approccio con cui vengono affrontati i problemi. Per esempio, in città universitarie come Oxford, Cambridge, Lovanio, Pisa e la stessa Bergamo va adottato un modello d’intervento “a tripla elica allargata”: le università, il settore pubblico e quello privato sono chiamati a dialogare tra loro e con altri soggetti ancora per impostare nuovi progetti condivisi di sviluppo del territorio (per quanto riguarda Bergamo, tra questi soggetti viene subito in mente la Diocesi). Nel corso del 2023 si potrebbe cogliere l’occasione di Bergamo e Brescia Capitale italiana della Cultura per avviare appunto dei percorsi condivisi di monitoraggio e progettazione turistica riguardanti Città Alta. Non ci sono altre vie per garantire risposte adeguate a esigenze diverse, cercando di bilanciarle». Dunque, le necessità dei residenti in una città universitaria non sono necessariamente in conflitto con quelle di chi arriva da fuori. «No, per nulla: possono benissimo coincidere – per esempio - con quelle dei pendolari per motivi di studio o di lavoro che sono in cerca di una casa o di servizi di ristorazione. Ripeto, in un contesto sociale vivo e differenziato quanto va a vantaggio dei residenti in senso proprio può giovare anche ad altre categorie di abitanti, in un’ottica assolutamente non antagonistica». Sempre in riferimento ai centri con una doppia vocazione, artistico-monumentale e universitaria: in Europa si danno degli esempi incoraggianti. In Germania, in città come Heidelberg e Tubinga, sembra effettivamente che si sia riusciti ad accordare le esigenze di chi vi risiede, degli studenti e dei turisti: non sono «museificate», ma nemmeno si ha l’impressione, visitandole, di essere a Disneyland o in un luna park… «Qualche anno fa, nell’Università di Bergamo – risponde Federica Burini -, abbiamo iniziato una ricerca su città europee che sembrano avere dei tratti in comune con la nostra, come la presenza di istituti di studi superiori e la vicinanza di un aeroporto che fa da base per i voli low cost: è il caso, tra le altre, di Lubecca, Santander e Girona. In un approccio integrato al tema della convivenza tra gruppi di popolazione diversi deve rientrare anche questo: si tratta di guardare pure altrove, per vedere come vengono gestite in situazioni non uguali, ma paragonabili tra loro, le chance e le criticità legate ai flussi turistici».

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