
(Foto di Maurizio d’Avanzo)
LO SPETTACOLO. Tullio Solenghi il 3 febbraio, insieme a Massimo Lopez, sarà in scena al Teatro Donizetti con lo spettacolo «Dove eravamo rimasti».
Beniamini del pubblico ai tempi del trio Lopez, Marchesini, Solenghi, rimasti un due dopo la prematura scomparsa di Anna Marchesini, Massimo Lopez e Tullio Solenghi sono poi tornati a calcare i palcoscenici con il loro «Massimo Lopez & Tullio Solenghi Show», fino a che la pandemia ha interrotto quel percorso dopo circa trecento repliche.
Ma perché restare lontano dai palcoscenici? E così è nato questo nuovo spettacolo che si intitola «Dove eravamo rimasti» scritto da Lopez e Solenghi con il giornalista Massimo Cappozzo. Lo spettacolo, prodotto da International Music and Arts, farà tappa al Teatro Donizetti il 3 febbraio (ore 20.30). Ne abbiamo parlato con Tullio Solenghi.
«Eravamo rimasti al precedente spettacolo che aveva avuto un bel successo dato che aveva toccato le 300 repliche che di questi tempi non è così scontato».
«Sì, poi c’è stata la brusca interruzione a causa del Covid e quindi abbiamo dovuto interrompere le repliche. Però poi ci è venuta voglia di tornare per ritrovare il nostro pubblico che consideriamo un po’ come nostri parenti e quindi abbiamo creato un nuovo show con ingredienti nuovi».
«Sì, assolutamente sì, lo spirito è sempre quello, parte veramente come una chiacchierata con noi due fuori dal sipario a parlare con il nostro pubblico. E poi la chiacchierata porta a vari momenti, varie esibizioni, alcuni assolutamente inediti. Tra questi un gustosissimo duetto tra Mattarella e Bergoglio, una lectio magistralis di Sgarbi che viene distrutto da un allievo sciagurato che gli rovina tutti i quadri… ».
«Sì, poi c’è un omaggio che facciamo all’avanspettacolo con un classico del genere che è lo sketch del dentista e c’è come sempre un ricordo di Anna Marchesini e in più, rispetto all’altro spettacolo, abbiamo in fondo alla scena uno schermo sul quale vengono proiettati alcuni contributi video».
«Affrontiamo anche quello, sì».
«Sono quelle cose che ti chiedono dopo, quando parti non hai idea di come sarà, di quanto staremo insieme e di come funzionerà. Credo che alla base ci fosse sempre la forza di un’amicizia. Noi siamo stati soprattutto tre amici che si sono divertiti a lavorare insieme e a creare le cose che abbiamo creato. La base era quella, condividere il modo di intendere la comicità, ma anche di intendere la vita, l’ironia che avevamo era uno dei fili di questa amicizia».
«È arrivata alla sua fine perché, da amici, ci siamo detti quando la creatività sarà esaurita invece di stare a scaldare il posto con cose che magari non erano più all’altezza di quello che avevamo fatto era meglio staccare la spina quando ancora eravamo in auge così da lasciare un ottimo ricordo. Cosa che sta succedendo, perché io e Massimo riempiamo i teatri in tutta Italia e questa è la riprova del fatto che abbiamo seminato bene tanti anni fa».
«Ma è stato assolutamente involontario. Nessuno di noi avrebbe mai pensato di scatenare una crisi di quel genere. La cosa ha avuto proporzioni che non avremmo mai immaginato, furono rispediti in Italia gli ambasciatori, ci fu una crisi diplomatica tra le due nazioni. Tempo dopo ci raccontò Romano Prodi, che allora era ministro dell’Industria, che siccome l’Iran doveva pagare all’Italia miliardi di commesse per lavori che l’Italia aveva eseguito da loro, con il pretesto di essere stati offesi dal nostro sketch dilazionava i pagamenti».
«Credo che sarebbe come minimo imprudente».
«La musica ormai fa parte del nostro modo di raccontare, Massimo è più sul repertorio da crooner alla Frank Sinatra, io invece sono più vario, perché recupero l’epoca in cui le canzoni erano proprio di musica leggera senza tutti gli psicologismi di oggi e tiro fuori un classico di Natalino Otto che è “Conosci mia cugina” e poi anche una mia personalissima versione di “Malafemmina” di Totò».
«Il ricordo è quello di una parte di noi che se ne è andata, ma che al tempo stesso quando saliamo sul palco tutte le sere abbiamo sempre l’impressione di avere con noi, perché il nostro modo di raccontare è rimasto quello, il nostro modo di fare spettacolo è rimasto quello, ci sembra che un po’ di ispirazione ci arrivi sempre comunque da lei».
«Il Donizetti è una di quelle tappe ambita da tutti i teatranti, è uno di quei grandi teatri in Italia dove uno spera sempre di recitare».
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