Siccità? Non un’emergenza temporanea, ma un problema strutturale previsto

L’INTERVISTA. Filippo Menga, professore associato di Geografia all’Università di Bergamo: la crisi climatica, tra lunghi periodi senza piogge e inondazioni, riguarda innanzitutto le risorse idriche. In Italia sprechi e tubazioni colabrodo.

«La crisi idrica è una questione urgente che richiede una risposta tempestiva e coordinata. Non è un’emergenza temporanea, bensì un problema strutturale previsto da tempo».

Non cerca di addolcire la pillola Filippo Menga, professore associato di Geografia all’Università di Bergamo, visiting research fellow all’Università di Reading nel Regno Unito, esperto del problema e autore di saggi e articoli su riviste specialistiche e accademiche che hanno a cuore le sorti del pianeta. Nonostante le piogge battenti che hanno frastagliato il Nord Italia e buona parte della penisola nei mesi scorsi, lo spettro della siccità incombe man mano che nei grandi fiumi il livello dell’acqua comincia ad abbassarsi, così che la crisi idrica rischia, ogni giorno di più, di diventare un’emergenza.

Le cause? Consumi eccessivi, sprechi, tubazioni colabrodo, inquinamenti, cambiamenti climatici connessi con il riscaldamento globale di origine antropica, con piogge torrenziali che causano alluvioni, frane, disastri e danni milionari. E l’acqua che arriva più rara e concentrata si perde perché mancano le strutture per trattenerla. A che cosa andiamo incontro di questo passo? Alla «Sete» (Ponte alle Grazie, 288 pagine, 20 euro) profetizza nel suo libro il professor Menga, evidenziando una minaccia che «crisi idrica e capitalismo» rendono sempre più vicina. Un ottimo saggio che rileva gli aspetti più inquietanti del problema e indica interventi indispensabili.

«I consumi eccessivi e gli sprechi compromettono la disponibilità di acqua potabile per le popolazioni, mentre l’inquinamento peggiora la qualità delle risorse idriche – premette –. L’Italia è il terzo Paese in Europa per disponibilità d’acqua ma, allo stesso tempo, registra i consumi pro capite di acqua potabile più alti e i secondi più alti in agricoltura. Sino ad oggi la grande disponibilità di acqua del nostro Paese ci ha tenuto fuori dai guai. Ma ora le cose stanno cambiando».

Lei scrive che la crisi climatica è una crisi idrica: ci spieghi come si realizza questa combinazione.

«È proprio così. Il riscaldamento globale porta con sé fenomeni meteorologici estremi come siccità e inondazioni, rendendo più difficile prevedere le precipitazioni e distinguere le stagioni. Inoltre, la fusione dei ghiacciai modifica i regimi stagionali dei corsi d’acqua mondiali, come avviene con le grandi masse dell’Himalaya che alimentano fiumi come il Gange e l’Indo. Questi cambiamenti complicano la gestione delle risorse idriche, inclusa l’agricoltura irrigua e a pioggia. Senza cadere nella retorica, è chiaro che la crisi idrica riguarda tutte e tutti: per questo motivo, sarebbe opportuno che chi ci rappresenta si facesse carico della questione ambientale in maniera seria e con adeguate competenze. Al momento, la questione ambientale è paradossalmente ancora marginale rispetto ad altre questioni che sembrano essere più importanti, ma questa è solo un’illusione».

In quest’ottica, com’è diventato una delle molte ruote del capitalismo un bene primario come l’acqua potabile, concessa dalla natura gratuitamente ma resa preziosa e costosa dall’avidità di diverse multinazionali?

«Gli esempi sono moltissimi: nel libro ne parlo a lungo. Ma qui farò giusto un esempio, quello dell’acqua in bottiglia. L’acqua in bottiglia è comoda, portatile e relativamente poco costosa rispetto ad altre bevande analcoliche. Se la consideriamo come acqua e non come bevanda analcolica, si rivela, invece, piuttosto costosa, almeno in termini assoluti. Se, per esempio, un litro di acqua in bottiglia in un supermercato europeo costa in media 0,30 centesimi di euro, sempre in Europa l’acqua del rubinetto costa in media 1,5 euro al metro cubo, equivalente a 1.000 litri: è quindi circa 200 volte più economica dell’acqua in bottiglia. Ma oggi non ci sembra strano pagare cifre che ai nostri nonni sarebbero sembrate assurde per un bene che dovrebbe essere di tutti. Quando nel 2018 l’influencer Chiara Ferragni lanciò una bottiglia d’acqua in edizione limitata al prezzo di 8 euro si levò un unanime coro di proteste da parte di politici, di tutti gli schieramenti, che giudicarono l’iniziativa immorale, non etica. Eppure, la bottiglia di Ferragni è andata esaurita in un baleno. Oggi pochi protestano contro la mercificazione delle nostre acque. Fa parte delle logiche capitaliste».

In quale misura l’inquinamento impoverisce le risorse idriche? Chi sono i maggiori responsabili di questa situazione?

«I veleni industriali e i pesticidi si riversano nei fiumi e penetrano nel terreno e poi nelle falde acquifere, da cui poi i Comuni, ma anche le aziende che vendono acqua in bottiglia, attingono per rifornire i consumatori. Il problema dei Pfas, per esempio, gli inquinanti eterni rilasciati da beni di consumo, è particolarmente grave in tutto il Nord Italia. La responsabilità è collettiva: le aziende vendono quello che i consumatori desiderano, ma è il governo che deve vigilare sul rispetto delle norme a tutela dell’ambiente».

Perché il 29% degli italiani non si fida dell’acqua del rubinetto? Ma l’acqua del rubinetto, secondo certi studi, è realmente migliore di quella minerale tanto da considerare l’acqua in bottiglia un lusso?

«L’acqua di rubinetto in Italia è una delle migliori al mondo. Ovunque, nel nostro Paese, è sottoposta a controlli molto frequenti: chiunque può consultare i dati sulla qualità dell’acqua nel suo Comune visitando il sito dell’ente di gestione. Uniacque, per esempio, offre i dati per Comune e per punto rete. Noi abbiamo un privilegio, quello dell’acqua pulita nelle nostre case, che in molte parti del mondo è ancora un miraggio: eppure, sembra che non lo apprezziamo a pieno. L’Italia è il secondo consumatore al mondo di acqua in bottiglia: si tratta di un fenomeno culturale, non legato alla qualità dell’acqua dei nostri rubinetti. L’acqua in bottiglia non è necessariamente più buona o più pulita di quella dell’acquedotto. Recenti studi hanno dimostrato che l’acqua venduta in bottiglie in plastica, la stragrande maggioranza, ha quantità più alte di nanoplastiche rispetto a quella della stessa marca imbottigliata in vetro. Spero che, in futuro, riportare il contenuto di nanoplastiche diventi obbligatorio per chi vende acqua in bottiglia. Il problema non è l’acqua, ma la scarsa fiducia che molte persone nutrono nei confronti di chi li amministra. La crisi, in questo caso, non è idrica, bensì sociale e culturale».

Quali sono i Paesi al mondo che, al momento, soffrono di più per l’insufficienza idrica? Come le società di proprietà di ex Paesi colonialisti sfruttano, soprattutto in Africa, secondo un colonialismo di ritorno, un bene pubblico come l’acqua, sfacciatamente mercificato?

«I casi più gravi sono in Asia e in Africa. Le cause sono molteplici e quasi sempre legate alla globalizzazione, all’eredità coloniale, all’estrattivismo e alle ineguaglianze. Nel libro parlo ampiamente di come l’idea di una crisi idrica globale sia fuorviante, perché oscura le importanti dinamiche di potere che rendono l’acqua scarsa o inaccessibile anche quando questa sarebbe in realtà abbondante. Il contesto africano, dove la gestione idrica in numerose ex colonie francesi è affidata al colosso francese Suez-Veolia, ci ricorda che il colonialismo nel ventunesimo secolo è un fenomeno che ha sì cambiato volto ma, non per questo, è meno impattante o pervasivo. Le guerre per l’acqua non si sono mai verificate ed è difficile pensare che possano accadere in futuro. È vero, però, che nell’economia globalizzata tutto è collegato: l’acqua può essere sia un obiettivo militare, pensiamo alla distruzione della diga di Kakhovka in Ucraina, che una delle cause per cui si creano disordini politici e sociali. In un mondo segnato dalla rinascita dell’etnonazionalismo e dalla proliferazione di regimi populisti a forte tendenza autarchica, sia in Europa sia altrove, si rende evidente il collegamento tra risorse idriche e più ampie dinamiche geopolitiche».

L’ambientalismo di mercato, il filantrocapitalismo, il neoliberalismo e il capitalismo culturale come partecipano al problema delle risorse idriche? Quanto è affidabile il loro operato?

«La risposta breve è che queste iniziative tentano di curare i sintomi e non le cause della crisi idrica, rivelandosi così inefficaci, o talvolta addirittura dannose. La risposta lunga si può trovare nel libro».

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