«Riprendiamo a pensare al futuro». A Chiuduno c’è Marcello Veneziani

L’INTERVISTA. Venerdì 8 novembre alle 20.30 a Chiuduno nell’auditorium Antonio Beni, Marcello Veneziani presenta il suo libro «Senza eredi» dedicato ai «ritratti di maestri» della cultura e dell’arte occidentale.

Marcello Veneziani arriva in questi giorni in libreria con una nuova opera: «Senza eredi». Pubblicato da Marsilio (332 pagine, 19 euro), ha come sottotitolo «Ritratti di maestri veri, presunti e controversi in un’epoca che li cancella». Venerdì 8 novembre a Chiuduno all’auditorium Antonio Beni (20.30) ne parlerà con Enrico de Tavonatti per l’iniziativa «Sguardi oltre. Non c’è futuro per chi non ha passato».

Un libro dal titolo forte che lascia un po’ sgomenti: che significa «Senza eredi»?

«È un titolo che rispecchia la nostra vita, la nostra società, prima che la cultura: viviamo in un mondo senza eredi, che non si sente erede di niente e di nessuno e non lascia nessuna eredità. Si è spezzato il filo della storia, della tradizione, della civiltà; abbiamo smesso di essere figli e di essere padri, ognuno fa storia a sé, si autocrea e si autodistrugge. Da qui l’idea che i maestri sono come padri ripudiati e cancellati».

Si sta riferendo all’Italia o nel complesso alla nostra epoca?

«Sto parlando soprattutto dell’Occidente, a partire dall’Europa, e quindi della nostra epoca. L’Italia che è forse il Paese più ricco di eredità, nell’arte e nella cultura, nella storia e nelle testimonianze di bellezza, è oggi il Paese che più si allontana dalla ricchezza della sua civiltà e dalle sue matrici greche, latine, cristiane, ma anche medievali, umanistiche e rinascimentali».

C’entra qualcosa la tecnologia in questa fuga dalla cultura, dall’umanesimo e dal passato?

«Per certi versi, l’Intelligenza Artificiale è l’erede universale della nostra civiltà, ma le sue eredità si riducono a dati, puri materiali quantitativi. La tecnologia allarga le nostre possibilità pratiche ma abbassa le nostre capacità critiche, la nostra capacità di distinguere sul piano della qualità e dei valori le cose che contano di più da quelle che contano di meno. La tecnologia è grande se fa crescere l’umanità, è inquietante se cresce sulle spalle dell’uomo».

Il suo viaggio attraversa i profili di molti autori, scrittori, pensatori, di diversa epoca e di diversa levatura. Sono tutti autori che non hanno eredi?

«I primi ad aver perso un legame di autorità e di paternità col nostro tempo sono i classici, quindi gli autori più grandi del passato. Ma l’oblio, la cancellazione si estende poi anche ad autori più recenti. In questo mio saggio mi soffermo su una settantina di autori, alcuni anche viventi, di cui provo a tratteggiare profili critici e sintetici. Ci sono anche autori controversi, altri che reputo criticabili, non tutti sono giganti. Ma noi contemporanei siamo nani sulle spalle dei giganti. Se scendiamo dalle loro spalle, perdiamo ogni visione e ogni lungimiranza».

Ci indica alcuni degli autori su cui si sofferma?

«Ne cito una parte tra famosi e meno noti: Marsilio Ficino, Pascal, Bruno, Vico, Cuoco, Leopardi, Manzoni, Mazzini, Burke, de Maistre, Baudelaire, Proust, Kafka, Buzzati, Verga, Trilussa, Moravia, Aleramo, Tomasi, Manganelli, Vattimo, Ratzinger, Sermonti, Cau, Venner, Dugin, de Benoist, Byung chul han, Miglio, Sartori, Scalfari, Montanelli, Reale, Hadot, Cacciari, Agamben, Faggin. Autori diseguali, di campi diversi e anche di epoche diverse. Altri li avevo affrontati nel precedente volume “Imperdonabili”».

Alla fine del libro sostiene che un mondo senza eredi non spezza solo il filo con la memoria, il passato, i classici, ma si preclude anche il nuovo, l’avvenire. Come spiega questo passaggio?

«Oggi è diventato impossibile un pensiero nuovo. Una volta perso il confronto con le tradizioni, i pensieri critici, i capolavori letterari del passato, costretti a sopravvivere in una forzata attualità che li banalizza e li riduce ai pregiudizi correnti, stiamo perdendo anche la capacità di aspettarci il nuovo, anzi di propiziarlo, di procrearlo. È necessario predisporsi a una nuova nascita, riscoprire l’importanza della natività, che è l’unica vera promessa di avvenire. La denuncia di una società senza eredi ha anche un suo risvolto propositivo: dobbiamo riprendere a pensare il futuro, a progettare nuove gravidanze. La storia non finisce qui, non è tutta risolta nel presente; si deve andare oltre. E per farlo si tratta di ripensare il passato, di salvare le eredità migliori in una tradizione, e di prospettare il futuro come una nuova nascita. La vita continua».

Qual è il messaggio finale che lascia per invogliare alla lettura di questo libro?

«Ho scritto “Senza eredi” per suscitare curiosità, interesse e amore per la lettura e per le opere di questi autori. È importante non lasciarsi trasportare solo dai social e dallo smartphone, ma di decidere noi cosa leggere, chi leggere, con che spirito e con che attenzione. È un esercizio che ci rende migliori, che ci dispone all’ascolto, che affina il senso critico, e ci fa capire il nostro tempo, in modo da affrontarlo e non subirlo. Usando un’espressione ormai insolita, si tratta di rieducare a pensare, a leggere, a provare interesse per le cose essenziali della vita. Non si vive di sole merci, cene e gossip, abbiamo bisogno di capire il mondo in cui viviamo, il tempo in cui viviamo, le cose che facciamo. Un libro può aiutarci a farlo, soprattutto quando non è fine a se stesso: il mio libro vuole infatti suscitare la voglia di leggerne altri, di questi autori e non solo...».

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