Progetto Young in scena: «Vorrei che fosse amore»... per il teatro

FONDAZIONE DONIZETTI . Al Teatro Sociale domenica lo spettacolo conclusivo del percorso di recitazione. Il regista César Brie: «Sono stati accorati e disponibili».

«Vorrei che fosse amore» è il titolo dello spettacolo che i ragazzi che hanno partecipato al Progetto Young, porteranno in scena, domenica al Teatro Sociale di Città Alta (ore 20.30).

Fortemente voluto e sostenuto dalla direttrice artistica della Stagione di Prosa e Altri Percorsi della Fondazione Teatro Donizetti, Maria Grazia Panigada, il Progetto Young, coordinato dal regista e attore Fabio Comana, è un progetto che si rivolge ai ragazzi che intendano intraprendere la carriera di attore ma, al di là di questo, è una delle iniziative collaterali della Fondazione Teatro Donizetti, insieme ai corsi di materie più tecniche, che costituisce davvero il fiore all’occhiello delle attività della Fondazione.

Come dicevamo, domenica sera sul palco del Sociale di Città Alta andrà in scena un lavoro ideato, scritto, pensato, recitato dai protagonisti del progetto codiretto da Fabio Comana e dall’attore e regista argentino César Brie.

In scena ci saranno Giovanni Aresi, Valeria Bonomi, Marta Federico, Anita Galezzi, Anita Gandossi, Francesca Garofalo, Petra Lopopolo, Davide Marchetti, Anna Marinoni, Katia Nava, Michelangelo Nervosi, Elisa Nicolato, Yuri Pasciullo, Laura Remigi, Riccardo Sanga, Andrea Valietti, Elisabetta Viotti, Yeseniia Vitenko.

Il coordinamento e la direzione artistica sono di Fabio Comana, la regia è di César Brie e Fabio Comana, l’assistente di produzione è Manuela Carrasco. L’organizzazione è a cura di Maria Teresa Galati con luci di Alessandro Andreoli e fonica Cristian Tasc. L’allestimento è stato realizzato con il contributo di alcuni partecipanti del corso per tecnici di palcoscenico. Ne abbiamo parlato con César Brie.

César Brie, come avete lavorato, lei e Fabio Comana, con i ragazzi di Progetto Young?

«Ci ha lavorato soprattutto Fabio Comana che aveva il corso a suo carico. Io ho inviato loro delle domande e ho chiesto di rispondere con dei testi. Poi, nei giorni che abbiamo passato insieme abbiamo letto le risposte e abbiamo trasformato quelle risposte in scene diverse».

Qual è il confine tra la didattica e la creatività?

«Non lo so. Io cerco di insegnare a pensare il teatro. Trasmetto anche delle tecniche ma mi occupo soprattutto di insegnare a cercare le proprie risposte, le proprie immagini. Credo che molti dei ragazzi siano anche dei poeti, capaci di creare poesia sulla scena. Cerco di trasmettere che anche l’intimo è sociale e che possiamo parlare di ognuno di noi e scoprire l’universale in agguato sotto le nostre vicende».

Il testo è stato scritto anche dai ragazzi, come hanno lavorato?

«Ognuno ha scritto delle storie, e poi insieme le abbiamo approfondite. Abbiamo cercato un modo di raccontarle creando immagini, oppure se avevamo le immagini le abbiamo collocate dentro le storie. Sono stati bravi, accorati e disponibili».

Da dove arriva, come è nato il titolo «Vorrei che fosse amore»?

«È il titolo di una canzone che una delle attrici ha voluto usare. Il titolo lo hanno scelto loro. Le mie proposte sono state bocciate».

Qual è il valore aggiunto per i ragazzi che hanno partecipato a un’iniziativa come questa di Progetto Young?

«Io credo che il teatro dovrebbe essere sempre presente nelle scuole. Perché, se fatto con cura e sensibilità, apre corpo, mente, cuore e voce e ci rende più attenti. Il progetto Young insegna questo: a essere attenti, creativi, disponibili e onesti con se stessi e con gli altri».

Quali sono stati i momenti più difficili e quelli più divertenti in questo percorso ?

«I momenti difficili sono stati quando i temi che toccavamo erano ancora incandescenti nella vita degli attori, quando il confine tra la bellezza che si creava e il dramma che si raccontava era sottile, quando qualcuno non voleva esporsi tanto. I processi di coscienza sono sempre dolorosi, ma non di sofferenza. I momenti divertenti c’erano spesso, quando trasformavamo un dramma personale in una fiaba ridente, pur affrontandolo di petto. Quando un dolore d’amore si chiudeva in un bacio collettivo. Quando la verità affiorava attraverso il bello e restava a tutti una sensazione che potrei dire di commozione».

Come hanno reagito i ragazzi?

«Hanno reagito benissimo. Il lavoro è loro. Loro e di Fabio che è stato sempre disponibile e paziente. Io mi sono limitato a fare domande e a correggere proposte».

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