«Noi, normali pedoni su una scacchiera»

L’intervista. Giuseppe Giacobazzi giovedì 23 e venerdì 24 febbraio porta al Teatro Creberg il suo nuovo spettacolo: «Riflessioni fatte con gli amici d’infanzia».

Giuseppe Giacobazzi sarà al Creberg Teatro di Bergamo con il suo nuovo spettacolo «Il pedone. Luci, ombre e colori di una vita qualunque» giovedì 23 e venerdì 24, ore 21 (biglietti: euro 41,50 primo settore numerato e 36,50 secondo settore. Già esaurita la data di venerdì).

Un’ora e mezza di spettacolo, un’ora e mezza di partita, un’ora e mezza di monologo comico, che mette al centro i temi sempre cari a Andrea Sasdelli in arte Giuseppe Giacobazzi: la quotidianità, i racconti di vita, ciò che ci accomuna. Scritto con la collaborazione ai testi e alla regia di Carlo Negri, «Il pedone» mette in scena un paragone tra la nostra vita e quella vissuta su una scacchiera: in una società dove tutti sognano di essere dei pezzi pregiati, brilla il fascino della normalità. Un Giacobazzi sempre meno battutista e sempre più contastorie, in un percorso dove non si abbandona mai la risata, ma che diventa anche strumento di riflessione.

Come le è venuta in mente la metafora del pedone?

«È un discorso che mi fece tanto tempo fa un amico che non c’è più: il nostro scopo è arrivare più in là possibile sulla scacchiera, senza farci mangiare dai pezzi più grossi di noi. Il mio è il racconto di una vita normale, anche se quando sei un ragazzino con pochi pensieri, se non quello di tirare tardi, sogni di diventare altro da un semplice pedone. Porto sul palco le riflessioni di cinque amici d’infanzia, che fanno una cena in ricordo di tempi andati».

Sul palco è sempre lei da solo, però?

«Sì, i personaggi mi limito a raccontarli. Racconto la mia vita e quello che hanno vissuto persone vicino a me, per questo in tanti possono ritrovarsi. I cinque di cui parlo sono davvero miei amici: c’è chi è diventato un imprenditore di successo con il monopattino, chi fa il maestro di yoga, io che faccio il cretino come sempre... Vite normali, nessuno di noi è diventato presidente del Consiglio. Il finale è proprio dedicato a questo, un attacco al potere. Ma non anticipo nulla».

C’è della nostalgia nei suoi racconti?

«No, al massimo c’è la dolcezza del ricordo. Non credo al “si stava meglio quando si stava peggio”. No: stavamo meglio semplicemente perché avevamo 20 anni. Bisogna sempre prendere il meglio del periodo in cui si vive, senza malinconie e nostalgie».

Ha visto Angelo Duro a Sanremo, cosa ne pensa?

«Lui interpreta un suo personaggio caratteristico. Il suo primo spettacolo mi è piaciuto, ma a Sanremo mi è parso sottotono e lontano dal mio modo di fare comicità. La volgarità ripetuta non mi appartiene».

Lei ci andrebbe al Festival?

«No, ma tanto non mi inviteranno mai. Il palco dell’Ariston fa sempre quell’effetto: a parte Grillo, non ricordo altri comici essere andati bene. Sanremo incute tensione, anche a professionisti come Crozza o al mio amico Pintus. Se mi invitassero rifiuterei a malincuore, ma meglio che vadano avanti i giovani».

Si sente anziano?

«No, vecchio. Anche se con gli amici ci salutiamo con un “ciao raga” le giunture scricchiolano».

È vero che si imbarazza a dire le parolacce?

«Ogni tanto come intercalare ci stanno, ma non le uso per stupire o arrivare al punto. Mi sembrerebbe di tornare alle scuole medie. Però amo la comicità subdolamente cattiva, con una forma ineccepibile. Vianello era un maestro in questo. Ho già detto che sono vecchio?».

Lei ha cominciato nelle radio locali, a metà anni ’80, poi il grosso successo è arrivato vent’anni dopo, con Zelig. Nel frattempo ha mai pensato «dovrei fare un lavoro normale»?

«Ma io per anni ho lavorato nella moda, compravo tessuti all’ingrosso e mi piaceva. Nel frattempo avevo un buon successo in Romagna con il Costipanzo Show, una parodia del Maurizio Costanzo Show. Per tanto tempo ho fatto entrambe le cose, poi non è stato più possibile e mi sono licenziato. Ero titubante ma ho scoperto di avere fatto bene. Il mio anno d’oro con Zelig è stato il 2007, ma avevo già parecchia esperienza».

Sua figlia Arianna è una fonte di ispirazione comica?

«Tutta la prima parte dello spettacolo parla dei figli, uno dei miei cinque amici è psicologo infantile, ma gli dico sempre che dovrebbe curare i traumi di noi genitori».

Che ricordo ha del Creberg Teatro?

«Fu emozionante fare come prime date dopo il Covid Bergamo e Brescia. Davanti al Creberg mi sono sempre chiesto: riusciremo a riempirlo? Ma poi è pieno, anche stavolta».

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