Nelle foto di Arrigoni la ricerca di una verità interiore oltre le bende

MOSTRA. Nella galleria Borgo d’oro «Take care - La garza come cura» propone 50 ritratti di volti femminili affiancati dalle testimonianze di ospiti della cooperativa di Bessimo, che si occupa del recupero e reinserimento di persone tossicodipendenti.

Dopo il successo del «Progetto Ritratti», una mostra fotografica multimediale esposta anche a Bergamo nel 2023 in occasione dell’Anno della Capitale della Cultura di Bergamo e Brescia, l’artista e regista teatrale Pietro Arrigoni e la Cooperativa di Bessimo, che opera nel campo del recupero e reinserimento di persone tossicodipendenti, si sono nuovamente uniti per portare a Bergamo un’esposizione ricca e profonda intitolata «Take Care – La garza come cura: immagini e storie di necessità, speranza e cura» ospitata negli spazi della Galleria Borgo d’Oro, in via Borgo Santa Caterina 33, fino al 13 marzo con ingresso libero e gratuito.

Una ghiacciaia settecentesca

«Il lavoro nasce da un pensiero profondo, con una forte componente psicologica, alla ricerca di verità interiore - ha spiegato Arrigoni durante la presentazione di venerdì scorso - È stato importante anche il contesto in cui ho realizzato le fotografie: una ghiacciaia settecentesca accanto a un ospedale napoleonico, un luogo dove si conservavano non solo i defunti, ma anche cibo e ghiaccio. Questo dualismo tra vita e morte mi ha affascinato».

Memoria collettiva dal dolore

L’esposizione presenta 50 ritratti di volti femminili avvolti nella garza, affiancati da testimonianze scritte a mano da diversi ospiti della Cooperativa di Bessimo Onlus che riflettono sul tema della cura, nel senso più ampio del termine. «Ci tenevo a coinvolgere prevalentemente il femminile perché credo che le donne abbiano uno sguardo più attento, una sensibilità particolare verso la cura - ha fatto presente l’artista - Tra le donne protagoniste, una di loro ha voluto simboleggiare la propria esperienza con una garza intrecciata, mentre un’altra, segnata da una violenza subita, ha scelto una fascia diversa per coprire simbolicamente la propria ferita, evitando persino di mostrarsi. Un’altra ragazza, figlia di immigrati senegalesi nata in Italia, ha voluto raccontare attraverso le fasciature il dolore vissuto dai genitori nei loro ricordi del viaggio attraverso il Mediterraneo. Ha avvolto le gambe e la testa come gesto simbolico per restituire quel dolore trasformato in memoria collettiva. Ogni partecipante ha trovato un modo unico per esprimersi, secondo le proprie necessità e storie».

Sguardo artistico sulla marginalità

La mostra nasce da un concetto molto semplice, ma potente: la garza, utilizzata in campo medico già dall’inizio del Novecento, ha rivoluzionato l’approccio alla cura delle ferite. «Questa funzione mi ha ispirato ad applicarla su un piano simbolico: fasciare per contenere e poi sciogliere per guarire», ha aggiunto Arrigoni. «Questa iniziativa rappresenta un’opportunità per affrontare con uno sguardo artistico temi complessi come dipendenza e marginalità - ha fatto presente l’assessora alle Politiche Sociali Marcella Messina - che vengono affrontati attraverso immagini e parole. I temi della cura, della speranza e del riscatto sono centrali nei processi di emancipazione e riconquista dei diritti che devono impegnare ognuno di noi, non solo per noi stessi ma anche per chi non può farcela da solo».

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