«Nei miei libri dico che c’è grandezza nella vita quotidiana»

SPETTACOLO. Lo scrittore e sceneggiatore Francesco Piccolo il 15 marzo sarà in scena a ChorusLife Arena insieme a Francesco Diliberto (in arte Pif)
per «Momenti di trascurabile (in)felicità», tratto dai suoi libri.

«Momenti di trascurabile (in)felicità», lo spettacolo di cui è autore e interprete Francesco Piccolo, torna a Bergamo. Quello in scena il 15 marzo alle 21 al ChorusLife Arena sarà un dialogo a due voci, grazie alla complicità di Francesco Diliberto (in arte Pif), sul palco assieme allo scrittore. Il testo è ispirato alla sua nota trilogia: «Momenti di trascurabile felicità» (2010), «Momenti di trascurabile infelicità» (2015) e «Momenti trascurabili vol. 3» (2020). A regalare la quintessenza di una leggerezza tipicamente calviniana saranno istantanee di vita raccontate in modo brillante e intelligente. In un flusso di pensieri in grado di vestire d’ironia piccoli scorci quotidiani, ci si renderà conto di come certi trascurabili attimi, spesso tragicomici, ci vedano universalmente compagni di viaggio nell’avventura dell’esistenza. Tra il surreale e il riflessivo, Piccolo e Pif decanteranno un divertente catalogo di paure, fragilità, nevrosi, sottolineando l’aspetto ilare nascosto in ogni istante, anche in quelli che apparentemente sembrerebbero da dimenticare. Piccolo,scrittore Premio Strega 2014 con «Il desiderio di essere come tutti», è un autore poliedrico, uno dei più premiati sceneggiatori italiani. Ha lavorato con registi del calibro di Moretti, Virzì, Archibugi.

Il suo talento nell’individuare dettagli permette di dilatare il tempo. Le è più naturale cogliere momenti di trascurabile felicità o infelicità?

«Entrambi, perché quando sono trascurabili in qualche modo si confondono: le piccole felicità e le piccole infelicità danno comunque un lieve godimento o lieve scoramento. Ma sono sensazioni che appartengono alla micro-quotidianità, non sono solo sopportabili ma auspicabili. Persino le piccole infelicità, infatti, nel solo poter prestare loro attenzione, attestano come le grandi infelicità in quel momento siano lontane».

La sua trilogia è una piccola panacea, rieduca lo sguardo ad un approccio sano al reale. Ne è consapevole?

«Mi è capitato di ricevere lettere da un lettore seriamente malato che mi diceva di aver trovato sollievo in quelle pagine. Quindi sì, questo mi rende cosciente di quanto dice».

Eppure in questi libri aveva riposto poche ambizioni.

«In fondo gli scrittori scrivono di quello che interessa a loro e badano poco a quello che serve. Io questa passione per la trascurabilità l’ho sempre coltivata e la onoravo annotando brevi scritti in un file del computer, pensando che magari prima o poi li avrei usati in qualche modo. Il libro non nasce come tale, ma come insieme di appunti su cose insignificanti all’apparenza ma interessanti per me».

Lei ha dichiarato di ridere della sua non allegria. Come si fa? Come non cedere al vittimismo?

«L’ironia stronca da subito il vittimismo, è il suo antidoto. Il vittimismo esiste ed è legittimo ma nasce dal prendersi sul serio. L’ironia rende inservibili certi alibi che ci diamo e permette di essere spietati con noi stessi, in senso buono».

È possibile allenare uno sguardo come il suo?

«Sì, io penso che forse ci si possa educare. Un lettore che legga questi libri o che venga a vedere lo spettacolo ha poi, almeno per qualche giorno, lo sguardo più attento alla bellezza della vita quotidiana. Questi libri cercano di dire che c’è una grandezza, una epicità anche nella vita di tutti i giorni».

Ma quindi ritiene che il senso della vita risieda nel mantenere la presa sulla bellezza delle piccole cose?

«Io un po’ lo credo, sì. Poi sono abbastanza ironico da non affermarlo come legge universale e quindi da non aspirare a essere un guru, ma penso che un po’ sia così».

In che modo Pif fa parte dello spettacolo?

«Rende ancora più vario il suo svolgimento: facciamo delle cose insieme, poi io leggo dei passi, lui altri. L’ho sentito molto vicino negli incontri di presentazione del film di Daniele Luchetti del 2019, “Momenti di trascurabile felicità”, opera per la quale io e il regista lo avevamo scelto come protagonista. Da lì nasce una complicità che ora portiamo in scena».

Il palco le piace.

«Mi ci sento proprio a mio agio, mi piace molto. Non ne sento la fatica, l’emozione a tratti invalidante, lo schiacciamento. Trovo molto bello stare in un teatro pieno di gente che si diverte con me; è impagabile. Si vivono momenti di felicità tutt’altro che trascurabile».

Cosa teme di più di questo mondo?

«L’atteggiamento di chi dice che questo è il periodo peggiore mai vissuto. Lo temo perché nonostante ci siano cose terribili, come in altre epoche, ci sono anche delle cose significative e secondo me il proprio tempo bisogna viverlo in maniera attiva, non frenante. Io credo che l’unico modo di stare al mondo e di combattere stia nella conoscenza e comprensione del mondo. Non nel ritirarsi da esso».

In che cosa ha fede?

«Nella vita. Penso si possa credere nella vita in tanti modi e io ci credo pienamente: io credo nell’umanità, nel presente, credo nelle giovani generazioni, credo nel progresso umano».

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