Mozart, due capolavori al Pianistico

Teatro Donizetti. Il festival entra nel clou del suo cartellone: lunedì sera Filippo Gorini e «I Virtuosi Italiani» con il Concerto Kv466 e il Requiem Kv 626. Il pianista: «Bisogna cercare di sentire ogni nota come un miracolo».

Fuochi d’artificio in arrivo. Il Festival pianistico si avvia verso il clou del suo, pur densissimo, cartellone: in meno di dieci giorni il teatro Donizetti ospiterà infatti tre serate sinfonico-pianistiche, da tempo ormai serate-spettacolo per antonomasia della kermesse di Bergamo-Brescia.

Lunedì sera alle 20.30 sul palcoscenico cittadino ci sarà un doppio appuntamento mozartiano da brivido, due iperboli tra i capolavori dell’ineffabile genio austriaco. Filippo Gorini sarà nuovamente protagonista con il Concerto Kv 466 in re minore, perla ammirata con devozione da tutto il XIX secolo. Sarà affiancato dall’orchestra «I Virtuosi Italiani» (primo violino Alberto Martini), una delle più duttili e internazionali formazioni italiane, di Verona, spesso guidata dalla bacchetta bergamasca di Corrado Rovaris. Sul podio Pier Carlo Orizio, direttore artistico del Festival, guiderà anche un’altra compagine scelta, l’Ensemble Vocale Continuum di Trento, preparato da Luigi Azzolini - direttore del coro regionale di Trento.

Parimenti di alto profilo i solisti, la soprano romena Valentina Farcas, specialista del repertorio mozartiano, e i tedeschi Anke Vondung, contralto, il tenore Moritz Kallenberg e il basso Benjamin Appl, tutti giovani, specialisti e già quotati in ambito internazionale. «Il Concerto Kv 466 era il più amato da Beethoven - racconta Filippo Gorini -, è nella stessa tonalità del Requiem, ma anche dell’Ouverture di Don Giovanni. È dunque il primo di una serie di pagine, di capolavori problematici. Il Concerto apre a una espressività già quasi romantica». Il solista di Carate Brianza entra nello specifico del capolavoro: «Credo che non si debba affrontare Mozart con la preconsiderazione che sia un classico. Piuttosto direi che si tratta di una musica in cui si nasconde una complessità psicologica. Occorre cercare di sentire ogni nota come un miracolo, estremamente intensa. Voglio dire che non ci si può affidare a una valanga di note o di effetti speciali, quanto ascoltare con grande profondità gli elementi fondanti armonia, contrappunto e temi principali». Di gran lunga il più popolare dei 27 per pianoforte, secondo Rattalino ha pagato del «pregiudizio» di essere considerato un concerto «pre-romantico» e «pre-beethoveniano».

Rattalino ha visto in queste pagine, in particolare, ma non solo, l’attitudine insopprimibile del genio salisburghese a trasformare in teatro musicale anche quanto (come la sua vita) tale non era. Insomma il Kv 466 è una sorta di teatro musicale sublimato, in cui i personaggi sono il solista e gli interventi, diversi, dell’orchestra e del strumenti. «Il primo tempo - continua Gorini - più apertamente drammatico tra minore e maggiore trasuda dolcezza, con una  orchestrazione meravigliosa, in particolare per la cura dei fiati, la Romanza centrale continua con una piccola aria di indicibile bellezza, che si getta nel tormento, con una scrittura molto intensa. Mentre il Rondò, che ha un carattere giocoso, si collega infine al clima drammatico dell’inizio» segnato da una inconfondibile citazione dall’ouverture di Don Giovanni.

Nell’ideale tragitto di capolavori assoluti mozartiani, la serata si completa con il Requiem Kv 626: se non ci fosse bisognerebbe inventarlo. Abbiamo appena detto come per tutta la sua esistenza il salisburghese considerasse il teatro musicale l’approdo naturale, la calamita irresistibile a cui sentiva votata la sua vita di musicista.

Nel Requiem, notoriamente ultimo e incompiuto della sua breve e intensissima esistenza, sembra condensarsi, su altro livello, la stessa dimensione drammaturgica: Mozart mette in scena la vicenda della vita umana nel suo momento ineludibile. Parla dell’uomo Mozart, parla di ogni uomo. Come in tutto il suo teatro, ogni vicenda è contingente e assoluta nello stesso tempo. Il fatto che si trattasse di una commissione (del conte Franz von Walsegg, che voleva ascriversene la paternità in cambio di compenso a Mozart) aggiunge un quid di mistero a un’opera simbolo che fin dalla sua apparizione non ha mai smesso di regalare fascino, interrogativi e ammirazione. Certo, il soggetto è sacro, o per meglio dire, metafisico: racconta del confronto dell’uomo con la morte.

La grandezza del Requiem sta nel fatto che i contenuti, nella loro forza e bellezza, sono fortemente teatrali, carichi di quella forza che proprio il melodramma di Mozart ha consegnato alla musica e alla storia. Che abbia colpito tanto l’immaginario dei posteri, di grandi maestri come Beethoven e Brahms come comuni mortali, dimostra che l’idea della musica, tutta, di Mozart sapeva raccogliere sotto un unico cielo anche i generi più diversi. E spiega perché questo Requiem, molto più di tutti quelli che lo avevano preceduto, ha preso uno spazio unico dell’immaginario collettivo. Che poi nei nostri tempi abbia trovato uno spazio privilegiato nel cinema, non è che una conseguenza logica. Proprio come il fatto che domani sera venga eseguito sul palcoscenico di un teatro, allo stesso modo come capita di ascoltarlo in una chiesa, senza alcun problema.

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