«Merry Dave Christmas», la tradizione in jazz

L’INTERVISTA. Davide Locatelli e il nuovo album del pianista «rock» bergamasco che si è trasferito a Los Angeles: il mio futuro è in California.

Tante cose sono cambiate nella vita di Davide Locatelli, pianista eclettico che qualcuno ha definito «rock» più che altro per comodità. È passato dalla Sony alla Warner Music Italy, ha cambiato residenza spostandosi da Bergamo a Los Angeles. Da un anno ormai Dave sta a Beverly Hills. Torna periodicamente a trovare mamma e papà «Tati», ex batterista dei Dalton, oggi insegnante di musica. Tra le novità, c’è anche l’album «Merry Dave Christmas», il primo a carattere natalizio del giovane pianista di fama internazionale. Artista delle rivisitazioni pianistiche di tante canzoni rock, stavolta ha scelto di andare sulla tradizione. Ha dedicato al Natale un disco di sue interpretazioni dei classici: da Oh Happy Days a Santa Claus Is Coming, da White Christmas a Feliz Navidad. Non manca nulla della più frequentata tradizione, ma il nostro mette in campo il suo stile strumentale che nell’occasione cala la carta dell’improvvisazione. «Volevo mettermi in gioco con una cosa diversa come il Natale. Reinterpreto dei canti natalizi al pianoforte, mettendo in arte anche gli ultimi studi che ho fatto in materia di jazz. Il disco è molto improntato su quella musica e da quella via sull’improvvisazione. Senza distogliere il focus dal mio tocco, dal mio stile pianistico».

«Volevo mettermi in gioco con una cosa diversa come il Natale. Reinterpreto dei canti natalizi al pianoforte, mettendo in arte anche gli ultimi studi che ho fatto in materia di jazz. Il disco è molto improntato su quella musica e da quella via sull’improvvisazione. Senza distogliere il focus dal mio tocco, dal mio stile pianistico»

Da «pianista rock» ad altro ancora.

«Mi sono messo alla prova con qualcosa che non avevo mai fatto. Non la chiamerei evoluzione, avevo già dentro di me il senso dell’improvvisazione, anche se non l’avevo mai esercitato. Ho voluto farlo per questo album. La mia faccia è un’altra, ma ho fatto al conservatorio di Milano pianoforte jazz e composizione, anche se finora non avevo mai messo in pratica quegli studi. Stavolta avevo voglia di mettere in campo queste mie skills e l’ho voluto fare in un disco dove non era in azione la mia vena creativa, compositiva. I pezzi erano tutti ben noti».

Com’è stato confrontarsi creativamente con questo materiale che fa parte del bagaglio anche emotivo di ognuno di noi?

«Il disco è stato registrato interamente a Los Angeles, nello studio di Nico the Owl, il produttore di Daniel Powter (l’autore di Bad Day) e The Weeknd. Il clima è stato molto familiare, mi sono trovato a mio agio, mi hanno dato consigli anche su certe improvvisazioni. Per me è stato un momento di crescita. Confrontarsi con un produttore importante a livello internazionale è stato molto formativo: un’esperienza importante. Andare negli States da solo, a incidere un disco, con gente che parla un’altra lingua e usa terminologie molto tecniche non è stato facile, però la musica ci ha aiutato a tirar fuori l’anima di certe canzoni».

Cosa c’è all’orizzonte, anche alla luce del cambio di etichetta discografica?

«Progetti futuri ce ne sono diversi e riguardano soprattutto la mia musica originale. Si pensa anche a qualche rivisitazione di pagine di musica classica, com’è nel mio stile elettronico, sperimentale. Il focus sarà su quello che è la mia musica scritta, anche per il cinema e per alcune serie tv americane. A 32 anni, dopo tanta gavetta, l’attenzione è finalmente centrata sulle mie composizioni, la capacità di scrittura. Lavorare a Los Angeles mi ha cambiato la vita, in Italia è diverso. Qui fare musica non è sempre considerato un lavoro. Mantengo tutte le mie attività italiane, ma vedo il mio futuro proiettato là, in California».

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