Lucerne e mosaici affiorano dagli scavi
La storia di Bergamo si scopre in via Arena

Dalla ristrutturazione di un complesso di via Arena importanti testimonianze del passato della nostra Bergamo più antica. L’intervento guidato da un archeologo

Antichi soffitti a cassettoni finemente intagliati; vista vertiginosa sul Campanone, Santa Maria Maggiore, tetti e comignoli di Città alta; pregevoli affreschi sulla facciata esterna («Bergamo “Urbs Picta”») quanto sui muri interni; intere pareti in pietra. Di fronte alla porta dei leoni bianchi, al transetto destro della Basilica, al protiro di Giovanni da Campione, si svela il restaurato palazzo di via Arena 2, angolo via Simone Mayr, nel cuore più silenzioso e riparato di Città Alta, lontano da strusci, selfie e pizzofagi.

È il complesso «Le Dimore di Via Arena», delicato e pregevole intervento di ripristino eseguito da Immobiliare Percassi: due edifici, 17 unità abitative, 3 mila mq di superficie. Il progetto, firmato dagli architetti Maurizio Zambelli e Barbara Radici, ha mirato a coniugare elevati standard di comfort ed ecosostenibilità, con il rispetto filologico dell’edificio e della sua storia. Nel corso dei lavori, iniziati nel 2016, «è stata posta grande attenzione», assicura il progettista e direttore dei lavori Zambelli, «alla salvaguardia degli elementi architettonici di pregio esistenti: affreschi, cassettoni lignei, oltre che ai ritrovamenti storici e archeologici».

Difficile, equilibristico connubio tra antichità e moderne classificazioni eco-energetiche (Le Dimore di Via Arena stanno acquisendo la certificazione «LEED 2009 per New Construction and Major Renovations», caso raro, a livello internazionale, per un edificio così antico), beni archeologici e comodità che paiono ormai irrinunciabili: «le autorimesse sono realizzate alla base delle fondamenta delle antiche mura romane». Quanto dire parcheggiare accanto alle «mura nascoste di Città Alta», con tanto di affacci sull’esterno. «Ci siamo innamorati della storia di questo immobile, così come della sua complessità – spiega il presidente di Immobiliare Percassi, Francesco Percassi –. Per noi ogni aspetto del progetto è stato una sfida, sorretta dalla volontà di entrare nella storia di Bergamo, scoprirne la ricchezza, portarla alla luce, valorizzarla e donarla al territorio. Riportare allo sguardo i frammenti celati di questa antica area urbana è stato un atto di valorizzazione culturale, imprescindibile nel nostro lavoro».

Gli scavi effettuati tra via Arena e via Mayr - grazie al lavoro dell’archeologo Massimo Brutti della Cooperativa Archeosistemi - hanno messo in luce i resti di una dimora di età romana. Nei primi decenni del I sec. d. C., appoggiata a due imponenti muri in pietra costruiti a contatto con la roccia del colle, fu costruita una «domus» su più livelli che godeva di una straordinaria vista sulla pianura. Sei vani e forse un’area aperta, per una superficie di 270 mq. Con ogni probabilità questo edificio si collega alla porzione di «domus» rinvenuta in via Arena 20 nel 1963-65. Dai nuovi ambienti provengono frammenti di mosaici, fra cui uno raffigurante una Gorgone. Era l’abitazione ampia e sontuosa di una delle famiglie più in vista della città. I lavori di scavo, infatti, hanno consentito ritrovamenti archeologici di notevole portata: oltre ad una lucerna di epoca preromana, uno stralcio di mosaico romano, 70x100 cm, dello spessore di 20 cm, raffigurante una testa di Gorgone, ora custodito al Museo Archeologico di Bergamo.

«Avevamo un archeologo presente in cantiere, tutti i giorni, e in qualsiasi momento potevamo avere il suo supporto in caso di ritrovamenti», racconta Serafino Paris, responsabile di commessa dell’Impresa Percassi, che ha seguito l’intervento insieme al project manager Francesca Guffanti Pesenti sotto lo sguardo attento e appassionato di Cristina Longhi e Stefania De Martino della Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio. «La squadra era composta da operai specializzati, sensibili e attenti a queste cose. Quando è venuto alla luce lo stralcio di mosaico di epoca romana, grazie al lavoro certosino dell’archeologo Massimo Brutti, si sono candidati ad effettuare dei turni notturni per custodire e proteggere il reperto».

Non si poteva usare la betoniera, lo scavo è stato fatto a mano, proprio per la possibilità di trovare resti archeologici. Per questo il mosaico si è mantenuto così intatto. Nel dicembre del 2018, ancora, nella stessa area già occupata dalla «domus», le operazioni di scavo hanno individuato «un nucleo cimiteriale di otto sepolture a cassa, che, sulla base dei reperti in associazione, risulta frequentato tra il VI e VII secolo – spiega nella sua relazione Marco Sannazaro, professore di Archeologia cristiana e medioevale all’Università Cattolica -».

Una delle tombe è «in buona parte intaccata e distrutta dalla fossa di fondazione di un muro di un imponente edificio medievale: in quel che restava, è stato possibile recuperare le ossa pertinenti gli arti inferiori dei due individui inumati e riconoscere la struttura costituita da lastre di pietra locale e laterizi legati con malta povera e, a chiudere il lato breve orientale, un lacerto epigrafico». Nei secoli VI e VII, l’area di via Arena era infatti destinata ad area cimiteriale, documentando l’estensione della necropoli già individuata in piazza Reginaldo Giuliani e in Piazza Rosate: nella zona di scavo sono state scoperte sette sepolture in cassa litica con reperti di uso quotidiano. L’osservazione, ancora, delle murature di fondazione dell’immobile di via Arena 2 mostra che parte del corpo risale al Duecento, da cui poi si sono eretti volumi e strutture di epoche diverse. Di rilievo, in particolare, l’impianto decorativo di facciata, attribuito ad Antonio Maria Càneva, detto, dal luogo di nascita (Porlezza, Como), il Porlezzino, risalente agli anni a cavallo tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo. All’architetto e pittore viene attribuito, fra l’altro, il disegno per la ricostruzione di San Bartolomeo a Bergamo, e un ciclo di affreschi su intonaco a Chiavenna.

Confrontando le mappe catastali dal Seicento in avanti, emerge come l’isolato abbia sostanzialmente mantenuto, dal XVII secolo a oggi, il medesimo assetto. «I catasti storici offrono molteplici e puntuali informazioni sull’immobile analizzato – spiega l’architetto Desirée Vismara -. Per esempio nei registri catastali del Lombardo-veneto una porzione dell’attuale edificio è citata come casa di proprietà Salvioni e un’altra porzione come casa di proprietà dell’Orfanotrofio delle femmine detto il Conventino in Bergamo; e poi un’altra parte dell’abitato come casa del canonico Pietro Rusca». Nella seconda metà del Settecento l’edificio fu sede del Consorzio per l’Assistenza ai Carcerati. Nell’Ottocento numerose le famiglie e i proprietari che si susseguirono nelle varie parti dell’immobile, fino al 1921, quando l’edificio divenne la Casa della Banca Diocesana.

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