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Sabato 12 Agosto 2023
L’Italia al tempo del boom economico, mostra al Museo delle Storie
IL POTERE DELLE IMMAGINI. Una selezione di fotografie dell’Archivio Sestini illustra l’evoluzione culturale delle aziende con marketing e pubblicità che influenzeranno consumi e stili di vita.
Milano, viale Regina Giovanna, 27 novembre 1957, si scrive una pagina di storia del nostro Paese. L’apertura delle porte del primo supermercato d’Italia corrisponde al primo, decisivo, passo verso lo stravolgimento delle abitudini di milioni di persone nel modo di fare la spesa. I sacchi di pasta, zucchero e caffè venduti sfusi nelle drogherie hanno i mesi contati; si afferma il cibo in scatola, il mercato impone alle aziende di concentrare parte dei loro sforzi sulla grafica delle confezioni. I prodotti sugli scaffali sono a portata di mano, si possono guardare, toccare, scegliere e riporre in un carrello, prima di pagarli.
L’esplosione del marketing
Esplode il marketing: marchi e slogan iniziano a campeggiare ovunque, sui cartelloni pubblicitari, sui giornali e persino in televisione. Non è una data a caso il 1957, è anche l’anno del debutto di Carosello sul Programma Nazionale, unico canale Rai, fino a quando – il 4 novembre 1961 – non inizierà la sua programmazione la seconda rete.
È l’entrata del Paese nel boom economico, periodo di grandi trasformazioni e di fortissima innovazione anche nelle aziende, che riscoprono l’importanza di mettere in mostra sé e i loro prodotti per provare ad imporsi sulla concorrenza. L’evoluzione di questo processo che segnerà in maniera indelebile l’evoluzione dello stile di vita di tutta una nazione, è raccontata in maniera efficace in una ventina d’immagini pescate dall’inesauribile Archivio Sestini ed esposte alla mostra «Cultura d’Impresa – Storie di innovazione in fotografia», curata da Roberta Frigeni, Daniela Pacchiana e Gianluigi Della Valentina e visitabile fino al 1° ottobre al Museo delle Storie di Bergamo.
Le nuove pubblicità
Lo scatto più suggestivo della sezione «Storytelling», quella che i curatori della mostra hanno voluto dedicare alla declinazione del concetto d’innovazione delle aziende attraverso la pubblicità, è senz’altro quello delle tre gemelline Colnaghi in posa sorridenti, scelte dalla Imec di Carvico – la prima in Italia ad imporsi sul mercato dell’abbigliamento per la confezione di biancheria intima in nylon – per reclamizzare un pigiamino di cotone a quadretti bianchi e rossi.
La fotografia, a colori, è un reperto ormai raro che arriva proprio dal set di Carosello e porta la data del 1961. «La novità importante, con l’arrivo della televisione nelle case degli italiani, consiste proprio in questo – spiega Gianluigi Della Valentina –: mentre fino a quel momento la pubblicità era qualcosa soltanto da vedere, negli spot di Carosello debuttano le immagini in movimento. Le battute e gli slogan colpiscono l’immaginario collettivo, che ai quei tempi non era sollecitato dalle mille suggestioni di oggi. Risalgono a quell’epoca alcuni modi di dire che dagli schermi televisivi sono poi entrati a fare parte del linguaggio comune. Oggi alcune di quelle battute farebbero un po’ sorridere, ma ai tempi funzionavano». Così come hanno funzionato per un certo periodo quelle tre gemelline sorridenti con il palmo della mano posato sul mento, i capelli a caschetto e lo sguardo all’insù.
Il marketing si ritaglia un ruolo sempre più predominante nelle strategie di promozione delle aziende, che si preoccupano, come mai era successo in passato, di farsi fotografare per offrire al pubblico un’immagine positiva di sé, a cominciare dalla cura dei marchi.
I messaggi accattivanti
La ricerca del bello, del messaggio seducente e accattivante esplode sul finire degli anni Cinquanta attraverso le immagini della tv in bianco e nero, ma inizia almeno mezzo secolo prima sui manifesti affissi per le strade e, ancora prima, con le inserzioni sui giornali. In mostra c’è una chicca che riguarda anche il nostro giornale, una fotografia delle rotative che mostrano la stampa di una prima e di un’ultima pagina de «L’Eco di Bergamo», che da una parte racconta gli esiti delle elezioni politiche del 25 e 26 maggio 1958 – quelle che diedero il via alla terza legislatura repubblicana – e dall’altra mostra un nuovo frigorifero lanciato dall’azienda Fratelli Mazzoleni.
Le inserzioni sui quotidiani
«Sfogliando i giornali, si trovano le prime inserzioni pubblicitarie già a fine Ottocento, vale a dire mezzo secolo prima del secondo Dopoguerra – racconta Della Valentina –. Le aziende avevano iniziato a raccontarsi con i mezzi che le tecnologie dell’epoca mettevano loro a disposizione. Si rivolgevano ai grafici e si affidavano alla fotografia e prima ancora alla pittura. Esempi di pubblicità molto belle, che risalgono anche alla prima metà del Novecento, riguardano la Sanpellegrino, che in fatto di marketing è sempre stata un’azienda molto innovativa. Ricordo quando, in epoca più recente, introdusse sul mercato la bottiglietta rugosa dell’aranciata che al tatto e nella forma ricordava proprio un’arancia, dando prova – ancora una volta – di un’attenzione particolare alla confezione e dunque non soltanto al prodotto, ma anche al modo di presentarlo».
In mostra al Museo delle Storie c’è un’immagine che ritrae le confezioni di latta che Balzer, lo storico caffè sul Sentierone, aveva realizzato per «vestire» il suo panettone artigianale. Al centro della confezione campeggiava il marchio del locale che tutti avremmo poi imparato a conoscere e che i titolari registrarono addirittura nel 1955. Poco è cambiato negli ultimi 70 anni, rispetto a questa pratica: oggi le confezioni in latta si vedono meno, ma la cura per l’involucro – non solo dei panettoni – è rimasta intatta. Uno slogan che invece oggigiorno sarebbe impensabile leggere su un cartellone pubblicitario o ascoltare in radio o in televisione, è quello che l’americana Philco, che negli anni Cinquanta aprì uno stabilimento anche nella nostra provincia, aveva pensato per promuovere una nuova lavatrice. Faceva così: «Mia moglie aspetta un Philco»: «Oggi dubito che una pubblicità del genere passerebbe – riflette il curatore della mostra –. All’epoca la parola “censura” non si utilizzava, ma c’era eccome. Tutto, dai film alle pubblicità, passavano al vaglio di una commissione, prima di essere resi fruibili al pubblico, e quella, stranamente, riuscì a passare». Ma forse è più una questione di sensibilità diverse e di tempi che cambiano. E le immagini dell’Archivio Sestini raccontano anche questi passaggi, offrendo allo spettatore della mostra un elemento in più di riflessione sulle trasformazioni in atto nel Paese, non solo dal punto di vista della tecnica e dei mezzi di comunicazione utilizzati, ma anche del pensiero comune, che nel corso dei decenni si è inevitabilmente modificato.
I brand sugli automezzi
Un’altra immagine che di sicuro faremo fatica a rivedere (se non, eventualmente, su un set allestito ad hoc) è quella di un furgoncino «brandizzato» in sosta in piazza Vecchia all’ombra del Palazzo della Ragione. La fotografia risale alla fine degli anni Cinquanta e riprende un mezzo della ditta Reggiani Manifattura, che per l’occasione affittò un pullmino itinerante bianco e azzurro per reclamizzare i suoi brevetti. La carrellata d’immagini in mostra al Convento di San Francesco in Città Alta, ci porta – con un salto temporale di circa vent’anni – in una sala scelta dal Consorzio Valcalepio dove nel 1978 furono esposti, sotto teca, i loghi partecipanti al concorso per scegliere il nuovo marchio del Consorzio, dopo l’ottenimento, due anni prima, della prestigiosa Doc (Denominazione d’Origine Controllata): «Anche questo, che pure è un riconoscimento della qualità del prodotto, diventa a sua volta una forma di marketing – prosegue Gianluigi Della Valentina –. Siamo negli anni Settanta, in piena crisi petrolifera e in Italia comincia a diffondersi una certa attenzione all’ambiente. Di lì a qualche anno, anche la figura del contadino, fino ad allora collocato molto in basso nella scala sociale, sarebbe cambiata. L’importanza della genuinità e della naturalezza del prodotto, che oggi chiamiamo “bio”, parte proprio da quegli anni».
I marchi sugli atleti sportivi
Dalle campagne allo sport, l’escamotage di tante aziende per farsi conoscere e riconoscere in tv e sui giornali è sempre stato quello di fare «appiccicare» il proprio nome sulle maglie degli atleti. Già negli anni Quaranta non si ha in mente un’immagine di Fausto Coppi in cui il Campionissimo di ciclismo non avesse indosso la scritta Bianchi, sulla maglietta, sui calzoncini oppure sul berretto. Ancora oggi nel ciclismo, così come nel basket e nella pallavolo, i nomi delle squadre cambiano a seconda della sponsorizzazione. La fotografia più recente di questa sezione della mostra porta la data del 1995 e ritrae la rosa al completo della Foppapedretti con al centro il patron dell’azienda, Ezio Foppa Pedretti. Un sodalizio così forte che per molti ancora oggi la squadra di pallavolo femminile di Bergamo è ancora la mitica «Foppa», capace per oltre un decennio di vincere tutto in Italia e in Europa.
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