L’incanto di Boccherini, luminose armonie costruite per la danza

SETTIMANE BAROCCHE. I brani del compositore lucchese del ’700 chiudono il 22 novembre la rassegna in Sala Piatti. In scena il quartetto d’archi dei Virtuosi Italiani, la danzatrice Anna Violetta Beschi e il chitarrista Giulio Tampalini.

«Arte trasversale» recita il titolo delle Settimane Barocche di Brescia, edizione numero 22. Niente di più vero per il concerto del 22 novembre in Sala Piatti (alle 20, ingresso 15-10 euro). L’appuntamento è con il virtuoso della chitarra Giulio Tampalini, uno dei più acclarati e spettacolari del momento - è docente del Conservatorio Donizetti - assieme al Quartetto d’archi de I Virtuosi Italiani con una danzatrice specialista in danza spagnola, la carismatica Anna Violetta Beschi.

Il programma delle «Settimane Barocche»

«Anna Violetta Beschi è una specialista di danza spagnola, di tante altre dimensioni danzanti e sfaccettature non solo direttamente legate al flamenco» spiega Giulio Tampalini al quale ci siamo rivolti in occasione della serata, la terza e ultima della rassegna in terra bergamasca. Anna Violetta Beschi danzerà in due episodi: nella famosa «Ritirata di Madrid» e anche durante il Fandango, entrambe originali di Luigi Boccherini (1743 - 1805). La serata è infatti dedicata interamente al grande compositore di Lucca, con brani tutti originali. «Il quartetto d’archi Virtuosi Italiani è una formazione tra le maggiori in Italia: sono tutti solisti e suonano insieme. È uno spettacolo di grande suggestione - assicura il chitarrista - le musiche, come le antiche danze del Fandango, la Sarabanda, sono tutte per danza. Le pagine di Boccherini non esaltano tanto il dialogo tra danza e musica, ma, direi, fanno tornare l’arte dei suoni alle sue origini».

Come sono queste danze?

«Sono danze vere, non stilizzate come in Bach per capirci: il Fandango è una danza odierna anche se antica. È un classico, non è flamenco. Voglio dire che ha preso gli elementi e li ha regolarizzati, ma è una danza vera e propria, ha dentro tutta l’energia del ballo».

Com’è la musica di Luigi Boccherini?

«La sua musica, da violoncellista e compositore italiano espatriato in Spagna e a Madrid, ebbe successo soprattutto per il suo stile italiano. Lo si sente anche nei quintetti: la fantasia è inimitabile, continua, finita una frase, nasce subìto una nuova idea, con una continua creatività e freschezza: a volte ci sono temi che nascono su altri temi, senza una immediata conseguenza razionale. La sua musica è italiana per creatività nella costruzione. Potremmo dire che è la luce, l’energia italiana immessa nella danza spagnola. Boccherini ha una luminosità che è soltanto sua, straordinariamente piacevole da ascoltare. Per questo non annoia mai».

Che caratteristiche ha l’uso della chitarra?

«Ha un modo che nessun altro ha avuto tra gli altri musicisti. Si deve di fatto arrivare al ‘900 con Castelnuovo Tedesco per trovare un impiego simile. La chitarra non è accompagnamento, piuttosto ritmo e colore, ci sono rasgueados (tecnica spagnola, con la mano che percuote le corde che apre con le “dita a ventaglio”, ndr) arpeggi…ed effetti ritmici per cui è il contributo della chitarra è essenziale, insostituibile. Ho suonato tantissimo questo repertorio, piace molto perché è un repertorio in cui la chitarra dialoga benissimo. L’ho suonata in Cina recentemente ed è stato ben raccolto, La Cina che ha grande attenzione verso la musica occidentale. Sta crescendo molto l’interesse per Boccherini, anche in Italia tutti rimangono entusiasti quando lo suono: è musica magica».

La chitarra è un mondo particolare, diciamo a sé, tra gli strumenti. Come vive il fatto di essere chitarrista?

«Si, la chitarra ha una sua storia importante e parallela a tutta la grande storia della musica. È uno strumento minore, soltanto nel ‘900 trova i suoi componimenti originali. Nè Beethoven né Mozart scrivono per chitarra… quando i grandi scrivono per uno strumento comincia a diventare centrale. Direi che molto dipende dalle difficoltà del suo volume sonoro. La sonorità non aiuta e quindi il compito chitarristi oggi è quello di valorizzare la forza e la peculiarità dello strumento, anche con supporti tecnologici, come delle piccole amplificazioni. Mozart non ha scritto per chitarra, ma lo hanno fatto Fernando Sor o Mauro Giuliani nello stile di Mozart o di Rossini, lavori magnifici polifonici, lirici ed espressivi. La chitarra ha anche bisogno dell’acustica giusta per essere apprezzata. Poi c’è l’aspetto dela musica da camera: Castelnuovo Tedesco ha scritto un quintetto capolavoro con la chitarra. Per archi e chitarra ha scritto quintetti Niccolò Paganini, bellissime pagine per voce e violino sono anche quelle di Benjamin Britten, un magnifico ciclo di liriche».

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