La morte di James Foley e le preghiere di una madre

LA RECENSIONE. James Foley è un giornalista che non ci pensa due volte a raggiungere l’Afghanistan alla ricerca della verità.

Un cattolico di origine irlandese nato in una piccola cittadina dell’Illinois, uno che nel 2011 come reporter di Star and Stripes, un quotidiano indipendente che si occupa principalmente di news militari e molto letto tra i soldati nelle basi americane, viene sollevato dal suo incarico perché in possesso di  marijuana (in Afghanistan). Uno che decide di proseguire il proprio lavoro con il Global Post di Boston finendo vittima di un rapimento prima in Libia per conto delle milizie fedeli al colonnello Gheddafi e poi in Siria per mano di una cellula dell’ISIS dove vedrà la morte, ucciso per decapitazione. Un’esecuzione che avverrà il 19 agosto 2014 per mano di Alexanda Kotey, un terrorista britannico di origini kuwaitiane. L’esecuzione finirà in un video che farà il giro del mondo.

Foley non era quello che si può definire un giornalista ossessionato e ambizioso, era un uomo che aveva a cuore il senso e la visione di una comunità, era uno che aveva lavorato per varie organizzazioni non profit e che aveva iniziato la sua carriera come insegnante alle scuole elementari dopo una brillante laurea in scrittura creativa e una in giornalismo. Un idealista sicuramente, uno sprovveduto no. E di questa matrice profonda racconta il toccante libro di Colum McCann che incontrò l’assassino di Foley insieme alla madre del giornalista.

Foley non era quello che si può definire un giornalista ossessionato e ambizioso, era un uomo che aveva a cuore il senso e la visione di una comunità, era uno che aveva lavorato per varie organizzazioni non profit e che aveva iniziato la sua carriera come insegnante alle scuole elementari dopo una brillante laurea in scrittura creativa e una in giornalismo

Un incontro che è alla base di Una madre (Feltrinelli per la traduzione di Marinella Magrì) scritto proprio insieme a Diane Foley. Colum McCann viene risucchiato da questa straziante, ma anche sorprendente vicenda a partire da una foto che ritrae James Foley in Afghanistan con una copia di «Lascia che il mondo giri» (Feltrinelli) sull’attraversamento su un cavo teso tra le torri gemelle di New York di Philippe Petit. Una sorta di mondo precedente, leggerezza che si oppone a insopportabile dolore, grazia che si oppone a devastante violenza. Diane Foley racconta di sé della sua storia di giovane donna, del suo compagno e marito e mette al centro un’idea di maternità che diventa fulcro non solo di una famiglia, ma di una comunità. È un modo di stare tra le persone, di prendersene cura e di partecipare alla vita. Ed è forse qui che si avverte più che in ogni altro passaggio del libro come la sua fede religiosa sia ben lontana da ogni forma di delirante fanatismo e di come quell’essere madre sia un modo sostanziale di raccontare chi era il figlio e quale fu la sua storia.

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