La Bandabardò: «Difendiamo i valori della condivisione»

L’intervista Il gruppo il 9 luglio al NXT Station. Il leader «Finaz» Alessandro Finazzo: «Siamo dei dinosauri della musica, cresciuti con i racconti partigiani».

La grande avventura popolare della Bandabardò non è finita. Finaz Alessandro Finazzo ne ha preso in mano le redini e ha trovato il senso per farla riprendere, complici gli amici di sempre. Enrico Greppi Erriquez non c’è più, ma l’avventura continua anche in suo nome. La banda ha ripreso la strada dei concerti dopo la pubblicazione di un nuovo album, «Non fa paura», condiviso con Cisco Bellotti, la voce dei Modena City Ramblers di una volta. Col «nuovo» cantante il gruppo arriva a Bergamo il 9 luglio al «NXT Station» di Piazzale Alpini (inizio ore 21; ingresso gratuito entro le 20). «Ci siamo presi del tempo, un anno sabbatico, di lutto, di ripensamento. Dovevamo recuperare il senso», spiega Finaz. «Poi ci siamo

La banda ha ripreso la strada dei concerti dopo la pubblicazione di un nuovo album, «Non fa paura»

guardati in faccia e l’unico senso possibile era quelli di coinvolgere Cisco. Con lui abbiamo sempre respirato aria di famiglia. Era una collaborazione che volevamo accadesse a prescindere dalla prematura scomparsa di Erriquez. Anche per riannodare i fili della musica degli anni Novanta. Modena e noi siamo figli di quel periodo bellissimo, sperimentale, seminale. Siamo amici da sempre, abbiamo spesso collaborato, nei dischi e sui palchi. Ci è sembrata l’unica possibilità, l’unico reperimento di significato. È evidente che quella di Cisco non è una sostituzione: Enrico è insostituibile. Quanto al disco, è un’esplorazione che è venuta dopo, diviso com’è al 50%. Il pubblico ha reagito bene e noi siamo ancora un gruppo di liceali in gita, con un compagno in più. Abbiamo cinquant’anni per gamba, ma stiamo bene e il clima è quello giusto».

Quello che ancora colpisce del disco e di certe canzoni in particolare, tipo «Manifesto» o «Non fa paura», è lo spirito collettivo che le anima. Uno spirito che in effetti si avvertiva negli anni Novanta a cui accennava prima.

La vostra è una sorta di resistenza musicale?

«A noi fa piacere che si colga. È quello che viviamo. E poi non sappiamo che agire e suonare in questo modo. Gli anni Novanta avevano una formazione di quel tipo: si veniva da collettivismo degli anni Settanta. Per noi lo spirito collettivo, di contatto sociale, era naturale. Musicalmente, socialmente, culturalmente siamo fatti così e se oggi la situazione è diversa per noi le idee restano quelle».

Il concetto di «Non fa paura» contrasta un po’ con la realtà sempre più divisiva dei tempi che corrono. La canzone dice «insieme ce la possiamo fare» in opposto alla mentalità di chi sta per conto suo davanti al computer convinto di socializzare con l’universo mondo.

«Io e Cisco lo ripetiamo sempre: siamo dei dinosauri della musica, cresciuti con i racconti partigiani. Siamo maturati in un certo clima e in quello ci siamo fatti un’idea del mondo».

Quei valori reggono all’urto del tempo?

«Crediamo siano sempre validi, anche se il mondo se n’è andato altrove», risponde Cisco. «Noi difendiamo il valore dell’aggregazione, della condivisione, dello stare insieme. Tutto nasce da lì. Questa collaborazione per quanto mi riguarda ha solo una pecca: non c’è più Enrico. Ci ha lasciato e non è sul palco insieme a me. Anche se la sua presenza spirituale si avverte. Credo che si sarebbe divertito in tournée, anche a fare il disco. “No fa paura” è la condivisione, è guardare avanti tutti insieme per farsi forza, in un periodo di grande incertezza e di grande individualismo. Anche a livello musicale si ha l’idea che ognuno faccia per sé. Negli anni Novanta c’erano i Modena, i CCCP che diventavano C.S.I., c’erano i Negrita, gli Africa Unite, i Mau Mau, la Bandabardò, i Subsonica; adesso c’è il rapper di turno o il trapper in voga. C’è molto io e poco noi».

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