In mostra quel fare impresa che è la nostra vera cultura

MUSEO SESTINI. S’inaugura oggi nell’ex convento di San Francesco una tappa chiave della Capitale della cultura: mostra gemella anche a Brescia.

«Cosa», in italiano, è uno dei termini più generici che si possano immaginare. Un elemento fisicamente statico, che caso mai rinvia a elucubrazioni teoriche, figlie della filosofia antica. In bergamasco invece per indicare un oggetto si dice «ü laùr»: un lavoro. Come se persino nelle sue dimensioni più concrete la «cosa» non fosse mai una situazione preordinata, prevedibile, ma sempre qualcosa-di-manipolabile, un progetto di se stessa in continuo divenire, il perno di un’attività che la cosa suggerisce alle mani dell’uomo, al suo impegno, alla sua fatica.

Non una celebrazione della fotografia in sé, della sua forza estetica, ma un progetto di rispecchiamento, attraverso di essa, di tutta una società che si identifica, appunto, con la sua capacità di «lavoro», vario, a volte caparbio, sempre aperto a nuovi contesti e a nuovi adattamenti che la storia umana richiede.

Forse non è un caso. Viene da pensarlo tuffandosi in questa bella mostra «BergamoBrescia Cultura d’impresa. Storie di innovazione in fotografia» che apre oggi, sabato 1 aprile, al Museo della fotografia Sestini in San Francesco, in Città alta, e che - con la gemella mostra di Brescia in Fondazione Negri - ha l’aria di essere uno dei capitoli chiave di questa Capitale della Cultura 2023: non una celebrazione della fotografia in sé, della sua forza estetica, ma un progetto di rispecchiamento, attraverso di essa, di tutta una società che si identifica, appunto, con la sua capacità di «lavoro», vario, a volte caparbio, sempre aperto a nuovi contesti e a nuovi adattamenti che la storia umana richiede.

Lo ha sottolineato il sindaco Giorgio Gori, presentando la mostra, quanto «tutto questo lavoro, tutto questo ”fare” si sia sedimentato in maniera davvero fondamentale nella nostra cultura». Che, appunto, non è mai stata otium, tempo libero dagli affanni della vita in cui coltivare una vena riflessiva o lirica, ma impegno quotidiano per rendere più fruibile, più abitabile, più umano il (proprio) mondo. Gori sottolinea anche un secondo aspetto: quelle che vediamo in queste fotografie «non sono solo persone che hanno fatto», che si sono impegnate a creare dei prodotti nel passato.

Osservare questa grande carrellata delle trasformazioni che l’industria (e anche il terziario) hanno portato all’interno del nostro ’900, colte varcando le porte dei capannoni di coloro che ne sono stati protagonisti, significa anche mettere a fuoco meglio l’avventura di questa gente «che ha fatto cose nuove: fino all’automazione degli ultimi anni» illustrata nell’ultima sala, tutta a colori, quella che ci parla non solo del nostro presente ma anche del futuro.

E la storia dell’impresa bergamasca e della sua cultura è anche - insiste il sindaco - «una storia di persone», come la fotografia documenta benissimo: tutte protagoniste, anche se i vestiti (le giacche e cravatte da un lato, le tute, i fazzoletti sulla testa delle donne dall’altro) segnalano con altrettanta schiettezza le gerarchie vigenti. È una storia «di relazioni sociali, e anche di comunicazione» - e dunque non poteva mancare una, piccola, foto delle rotative anni ’50 de «L’Eco di Bergamo». Non segue un filo cronologico la sequenza. E va gustata con calma, fra treni, caschi Nolan, aviogetti, biciclette Bianchi, panettoni del Balzer e bottoni. Ci sono dettagli quasi incredibili: ospiti cinesi al Cotonificio Legler negli anni ’50, una «fiumana» di operaie al setificio di Calcinato nel 1908, il gigantesco paiolo del ramaio Bottazzi di Brescia, la «Vetturetta Glisenti» a due posti, uno davanti e uno dietro, del 1898 (!).

Questa è persino - come ha sottolineato Gori - «una storia di modifica del paesaggio», capace di rivoluzionare in pochi decenni l’ambiente attorno a noi, in tutta la Lombardia, come mai era stato fatto prima nella storia - anche se bisognerebbe aggiungere che è anche la storia di una vasta distruzione dell’ambiente naturale. Cui fa seguito, in questo inizio di XXI secolo, una nuova fase di «responsabilità». Il dato di fondo è certamente che «siamo un mondo produttivo» - come dice l’assessore alla Cultura Nadia Ghisalberti -, che sottolinea quanto lo sviluppo dell’industria abbia portato anche profonde «trasformazioni urbanistiche». Marco Ghisalberti, consigliere delegato della Fondazione Bergamo nella storia, ha sottolineato il compito di «valorizzare un patrimonio fotografico enorme» che sta a cavallo tra la sua origine privata e la sua utilità e il suo attuale interesse «pubblico».

Roberta Frigeni, direttrice del Museo delle storie, ha rivelato che in realtà le mostre fotografiche sull’impresa bergamasca/bresciana «non saranno 2 ma 3»: una sarà aperta dal 14 aprile anche in Fondazione Dalmine: «Una “costola” dedicata ai paesaggi» conferma Carolina Lussana, la vicepresidente. Che ha chiuso con un’osservazione che dà veramente il tono di tutta l’operazione: questa, dice, non è una mostra che vuol portare «un apporto alla nostra cultura, ma l’apporto della nostra cultura» al profilo della Capitale 2023.

Due inaugurazioni a specchio: date e orari

Si aprono sabato 1° aprile alle ore 10 a Bergamo, al Convento di San Francesco (fino al 9 luglio), e a Brescia presso lo Spazio Fondazione Negri (via Calatafimi 12/14), le mostre gemellate «BergamoBrescia Cultura d’impresa. Storie di innovazione in fotografia». Un progetto nato su invito e con il sostegno di Siad Fondazione Sestini e realizzato grazie alla sinergia tra diverse istituzioni museali, fondazioni e imprese dei territori di Bergamo e di Brescia, che hanno condiviso i propri patrimoni archivistici per creare una narrazione visiva della storia della cultura d’impresa lungo tutto il XX secolo. Un unico catalogo raccoglie l’esito di questo lavoro. Accompagna e completa le due mostre una terza che si aprirà a Dalmine il 14 aprile, negli spazi di Fondazione Dalmine (piazza Caduti del 6 luglio 1944), dedicata al paesaggio industriale. A ideare, produrre e promuovere le tre mostre sono stati il Museo delle storie di Bergamo con Fondazione Dalmine, Fondazione Legler per la storia economica e sociale di Bergamo, Fondazione Negri e Fondazione Musil - Museo dell’Industria e del Lavoro di Brescia, Cooperativa Coclea. Con il contributo di Siad Fondazione Sestini, sponsor Siad Spa, in collaborazione anche con Confindustria Bergamo & Confindustria Brescia.

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