«Il visitatore: un dialogo serrato tra fede e ragione con molta ironia»

SERIATE. Nicola Adobati e Lorenzo Flaherty saranno in scena il 9 gennaio al Teatro Gavazzeni con la commedia di Schmitt ambientata nella Vienna del 1938, durante l’invasione dell’Austria. «È bello lavorare con chi sa ascoltare, si riesce a creare sfumature diverse ad ogni replica».

La sera del 22 aprile 1938, dopo l’invasione dell’Austria da parte delle truppe di Hitler, Sigmund Freud sta per lasciare la sua amata Vienna. Il famoso psicanalista è malato e attende notizie della figlia portata via dalla Gestapo per un interrogatorio. Un uomo appare alla sua finestra: un intruso enigmatico e affascinante, che intavolerà con Freud una lunga discussione sulle grandi domande esistenziali alle quali l’uomo non è mai riuscito a dare una risposta. «Il visitatore» è un’emozionante commedia di Éric-Emmanuel Schmitt che andrà in scena il 9 gennaio alle 21 al Teatro Gavazzeni di Seriate. Freud è interpretato da Lorenzo Flaherty, attore noto al grande pubblico come protagonista di numerose fiction quali «Distretto di Polizia» e «RIS». Il ruolo del visitatore è affidato all’attore bergamasco Nicola Adobati. Lo abbiamo intervistato.

Come si è preparato a interpretare il ruolo di un personaggio così misterioso e inquietante?

«Non è stato semplice. Ho seguito un mio percorso personale, guidato dal regista che mi ha aiutato a capire il tipo di impostazione da dare al personaggio. Questa commedia era già stata rappresentata due volte in Italia e il mio personaggio era stato interpretato da Kim Rossi Stuart e da Alessio Boni, che lo hanno portato in scena in due modi completamente diversi. Non avevo perciò un esempio preciso da seguire, perché i due attori avevano dato una loro impronta personale alla figura del visitatore. Sin dalla prima lettura mi sono fatto una mia idea e, aiutato dal regista e da Flaherty, ho dato vita al personaggio che porto in scena. Stiamo girando l’Italia e la sensazione è che lo spettacolo stia piacendo molto al pubblico».

La commedia è ambientata in uno dei periodi più bui della storia.

«Sì, nell’aprile del 1938. Freud sta trascorrendo gli ultimi giorni a Vienna prima di trasferirsi a Londra, mentre attende notizie della figlia arrestata dalla Gestapo. Freud è un medico ebreo, ateo e nichilista, ormai gravemente malato, e in quella notte di attesa rivela tutta la sua fragilità e le sue incertezze. Quando appare il misterioso visitatore ha inizio un vero e proprio scontro tra Dio e scienza, tra fede e ragione, in un dialogo serrato e acceso ma anche molto ironico. È difficile accettare le ragioni della fede in un periodo buio come quello del nazismo, si è tentati di incolpare Dio della presenza di tanto male, ma il visitatore instilla nel medico il dubbio, chiedendogli se la colpa di tanta barbarie non sia in realtà dell’uomo stesso, che si è allontanato da Dio. L’autore della commedia, che è stato più volte premiato per quest’opera, non dà giudizi in merito, lasciando che sia lo spettatore a trarre le sue conclusioni.

I temi principali dell’opera sono il valore della parola, la ricerca del senso della vita, il ruolo della fede e della scienza. Secondo lei il pubblico sente la necessità di riflettere su questi aspetti?

«Assolutamente sì, ma non solo. Le persone cercano anche il distacco dalla vita frenetica delle nostre società materialiste e il ritorno al contatto con la natura. Io ho vissuto 10 anni in Bolivia dove mia nonna gestisce un’associazione umanitaria e periodicamente vi torno per ricordare il vero motivo per cui siamo in questo mondo».

Come è nata la sua passione per la recitazione?

«È nata quando ero ancora bambino, con gli spettacoli dei burattini di Daniele Cortesi. Terminate le scuole superiori mi sono trasferito da Bergamo a Roma, dove ho iniziato a frequentare l’Accademia Cometa. Da qui è partito il mio percorso professionale. Ho interpretato alcuni film e alcune fiction per la Rai, ma l’esperienza che ricordo con maggiore emozione è il rapporto con Gigi Proietti. Per 10 anni in estate ho lavorato con lui al Globe Theatre di Roma. È un dono che la vita mi ha fatto».

Ha un ricordo particolare di Proietti?

«Avevo un ruolo minore nella produzione del suo “Romeo e Giulietta”, un ruolo molto comico. Durante le mie scene Gigi stava sempre dietro il sipario e alla fine mi diceva “Nicò, hai sentito quanto hanno riso stasera?”. E sapendo che la mia mamma era immancabilmente presente agli spettacoli, al termine mi chiedeva sempre se si fosse divertita. Gigi lavorava con enorme passione e voleva essere certo che il pubblico apprezzasse gli spettacoli, viveva per quello».

Sente ancora il legame con Bergamo?

«Ho vissuto a Roma per alcuni anni, alternando alcuni periodi in Bolivia. Roma è la mia seconda casa, ma in questo periodo sto lavorando molto qui al nord, soprattutto nella zona di Brescia e della Val Camonica, con l’Associazione Teatro Folli Idee di A ntonio Nardelli, che è anche il produttore dello spettacolo “Il visitatore”».

Come è stato lavorare con Flaherty?

«Lorenzo si è posto subito in maniera molto positiva nei miei confronti, non mi ha fatto pesare la sua notorietà, si è messo a disposizione con grande umiltà. È bello lavorare con lui, è un uomo che sa ascoltare e riesce a creare sfumature diverse ad ogni replica. Prima di andare in scena il nostro mantra è “divertiamoci e ascoltiamoci”»

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