Il regista Minervini premiato a Cannes e ospite a Bergamo: «Nei miei lavori empatia, intimità e catarsi»

L’OSPITE. Il regista fresco reduce dalla premiazione al Festival di Cannes ha presentato il suo western anomalo «I dannati». «Sono convinto che esista un potente nucleo di bontà in ogni essere umano, solo che in taluni giace sotto una coltre di spazzatura».

«I dannati», primo lungometraggio di finzione di Roberto Minervini, ha appena vinto a Cannes il premio per la migliore regia nella sezione Un Certain Regard, di fatto il secondo concorso del festival. Di ritorno dalla cerimonia di premiazione, Minervini ha in programma di incontrare il pubblico in una serie di proiezioni speciali; tra le primissime c’è stata quella al cinema Conca Verde di Bergamo.

Uomini e Far West

«I Dannati» è un western anomalo, «esistenziale»; si presenta allo spettatore come una sorta di resoconto documentaristico effettuato con la macchina da presa che è anche, in questo caso, vera macchina del tempo visto che filma l’istantanea di una compagnia di volontari nordisti dell’esercito degli Stati Uniti nell’inverno del 1862. I protagonisti sono uomini in armi inviati a presidiare le terre inesplorate dell’Ovest. Uniti dalla stessa missione, hanno però diverso background: ci sono giovani volontari che in vita loro hanno sparato soltanto ai conigli, così come ci sono soldati di lungo corso.

Una preghiera laica

Lo sguardo del regista, in questo limbo sospeso in attesa dello scontro, si sofferma su cavalli, giubbe blu, montagne innevate, carri. Giovani e meno giovani, queste reclute giocano a carte, si scambiano pensieri sulla guerra civile che dilania l’America e passano in rassegna il senso del loro arruolamento. Nell’accampamento si respirano paura, senso della patria e voglia di credere in Dio. L’inferno alita sul collo, pronto a irrompere nel silenzio. Intanto il racconto visivo assume la sostanza di una specie di preghiera laica e laconica, recitata in seno a una guerra che è poi tutte le guerre. Minervini riscrive l’atmosfera del fronte con il metodo e i principi del cinema del reale, ma in un ambito di finzione, dando al pubblico qualcosa di lontanissimo dalla poetica dominante del cinema bellico: non c’è realtà romanzata, non ci sono l’eroismo, la battaglia e nemmeno il nemico. Il film è costruito per stimolare una intensa riflessione sulla violenza, parla del passato ma guarda al presente, all’America ancora oggi divisa nel profondo.

Empatia, intimità e catarsi

L’incontro del regista con il pubblico di Bergamo è stato molto significativo. Minervini ha avuto modo di dare qualche spiegazione sul girato ma anche su quelli che sono i suoi valori dentro e fuori dal set. «Volevo che si sentisse la distruzione anche senza vederla», esordisce. «“I Dannati” ha inquadrature pittoriche, è in parte girato con la macchina a spalla. Vede il paesaggio come qualcosa di impenetrabile». Chiarisce subito come ci sia continuità tra il Minervini cineasta e quello privato. «Io lavoro solo con persone che stimo ossia rispettose e tolleranti, perché mentre giro ho bisogno di potermi rendere vulnerabile; del resto i concetti chiave dei miei lavori sono empatia, intimità e catarsi». Interrogato sulla sua poetica chiarisce: «Nelle mie opere è sempre in primo piano la persona. Io cerco di realizzare lungometraggi di facile intuizione, di mantenere una sintassi cinematografica semplice, con al centro il singolo. Ci tengo a lavorare di sottrazione, ma non in direzione dell’ermetismo».

Film come atti spirituali

Riguardo al genere di appartenenza dei suoi lavori: «Non parlerei di distinzione tra documentari e cinema di finzione nel mio caso; trovo che il mio si possa chiamare cinema dell’immediatezza». A chi tra il pubblico gli fa notare come la messa in scena spoglia amplifichi la spiritualità che si respira nel film, risponde: «Mi piace credere che un film sia un atto spirituale; una volta realizzato viaggia nell’etere e ognuno poi ne dà la propria interpretazione». Aggiunge: «Sono sempre stato affascinato dalla ricerca teologica e ho un forte apprezzamento per chi vive con integrità. Ho una spiritualità elevata ma che definirei di estrazione secolare, perché attinge forse più alla filosofia che alla religione. Sono convinto che esista un potente nucleo di bontà in ogni essere umano, solo che in taluni giace sotto una coltre di spazzatura». Conclude con una riflessione sull’attualità. «Mi pongo il problema della sovrapposizione tra religione e politica. L’idea che si possa giustificare lo sterminio di intere popolazioni con qualcosa di più alto e che la guerra possa essere ritenuta giusta perché emanazione di una volontà divina, mi annichilisce e mi dà un senso di morte». Il film sarà in programma al cinema Conca Verde anche il 28 maggio alle 21

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