«Il nostro rock conserva lo spirito ribelle»

Il concerto La band The Gang capitanata dai fratelli Severini il 4 giugno a Casnigo: «Nelle nostre canzoni le contraddizioni della società e l’attenzione agli oppressi».

La folk-rock band marchigiana capitanata dai fratelli Severini, The Gang, è senz’altro una delle realtà più credibili della canzone impegnata in Italia. Non a caso il percorso di Marino e Sandro in tanti anni si è messo al centro di una scena segnata dalla coerenza di un rock sincero e militante, molto vicino alla tradizione dello stile irregolare dei Clash e di cantori del sociale come Billy Bragg. Anche solo per questa ragione desta sicuro interesse il concerto elettroacustico che i due fratelli terranno sabato 4 giugno al Teatro Circolo Fratellanza di Casnigo (inizio ore 21.30; ingresso libero, prenotazione obbligatoria). Due chitarre al servizio di un messaggio politico e culturale.

Un pensiero solidale

The Gang è sempre stata fedele alla linea di un pensiero solidale, attenta agli oppressi, alle contraddizioni di una società che ne ha coltivate molte. Marino e Sandro si sono sempre mossi tra coscienza e memoria, ali e radici, terra e fuoco. Vicini all’immediatezza del punk, fedeli alla regola di una canzone combattente che, a tratti, serba saldi legami con il folk e la cultura popolare. È questo il filo conduttore di una decina di album che sono diventati dei riferimenti nel modo d’intendere la canzone, anche qui in Italia.

«Andiamo verso mondi inesplorati, riusciamo a far ben poco, ma insistiamo a portare quel granello di sabbia che alla fine compone la spiaggia»

I Severini raccontano storie che dal «piccolo», dal privato, rispecchiano i valori di una collettività che vive, lavora, fatica. È peculiare anche la storia del gruppo che, vissuta l’esposizione della seconda ondata del rock italiano, si è trovato a ricorrere al crowdfunding per rimanere sul mercato e nel cuore dei non pochi sostenitori. «Andiamo verso mondi inesplorati, riusciamo a far ben poco, ma insistiamo a portare quel granello di sabbia che alla fine compone la spiaggia», spiega Marino Severini.

C’è una comunità che vi sostiene. Il viaggio continua!

«S’invecchia lungo la strada che resta di frontiera. Non c’è niente di garantito; non ci sono confini ben delimitati. Si va avanti seguendo la saggezza dell’età: guardandosi indietro per andare avanti e superare il presente. Il dramma di questi anni, soprattutto in Italia, è che siamo impantanati nel presente. Il Paese non riesce a fare i conti col passato e per questo non ha la possibilità d’inventarsi un futuro. Resta sempre aperto il rapporto tra le radici e le ali. E allora si vive sulla frontiera, cercando di riallacciare quegli estremi».

Rappresentate la generazione successiva ai cantautori politici degli anni Sessanta e Settanta. Come riuscite ad andare avanti in tempi di musica plastificata?

«Cavalchiamo per strade secondarie, polverose, lontane da quello che chiamano mainstream, dal pensiero egemone, unico, che si riafferma con più forza che in passato. Siamo sempre underground. Non ci inventiamo niente. Anche Gesù Cristo non ha mai praticato i posti comodi: per andarlo a cercare dovevi attraversare il deserto, salire le

«Il rock’n’roll ha ancora tanto da fare, tanto da lavorare. Non è una rivoluzione finita, non è un linguaggio morto»

montagne, arrivare in prossimità dei laghi. Non ha mai frequentato le piazze principali e quando c’è andato è successo quel che sappiamo. La storia è sempre quella. Dipende dai linguaggi che uno ha per comunicare. I nostri diventano arcaici, lontanissimi dal presente. Però c’è sempre una parte inedita che sta cercando se stessa. Il rock’n’roll ha ancora tanto da fare, tanto da lavorare. Non è una rivoluzione finita, non è un linguaggio morto. Deve solo fare i conti con i tempi, conservando lo spirito ribelle».

Che siano elettriche o folk, le chitarre mantengono alta la tensione, tra punk e folk, Clash e Woody Guthrie.

«Bisogna sempre tornare al principio e quello della canzone moderna parte da Woody. È un principio umanista. L’incontro tra culture diverse, tra tante strade che al tempo della grande Depressione confluiscono nella concezione di un folk sociale. Qualcosa che contiene musica, poesia epica, teatro, canzone popolare e d’autore: un po’ tutto. Guthrie fa un miracolo e noi dobbiamo confrontarci con quella espressione che parte dal lavoro, da ciò che muove il mondo, dagli ultimi che poi saranno i primi. E sempre quella la propensione del riscatto, dell’emancipazione. La canzone, secondo Woody, è la colonna sonora di quel cammino. Cantare le storie, non la storia: è questa l’impostazione che teniamo viva».

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