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Giovedì 26 Ottobre 2023
Il cardinale Pizzaballa: «Religioni inquinate dal nazionalismo»
OLTRE LA CRONACA. Il Patriarca di Gerusalemme a Molte fedi: «Israeliani e palestinesi ora non possono vivere insieme. Occorre realisticamente separare i due popoli».
Parole origliate al bancone di un bar: «Quelli sono musulmani, quegli altri sono ebrei e si fanno guerra a vicenda». Ricorrono in questi giorni - non solo nelle chiacchiere a fondo perduto ma pure nei media – spaventose banalizzazioni e mistificazioni di quanto sta accadendo in Medioriente. È stata opportuna, dunque, la decisione delle Acli di Bergamo di trasmettere ieri sera - 25 ottobre - nei propri canali social, in sostituzione di un previsto incontro con lo scrittore David Grossman, una conversazione sul tema «Oltre la cronaca: cosa sta succedendo in Israele e in Palestina». Nel corso dell’evento, che rientrava nella rassegna Molte fedi sotto lo stesso cielo, hanno preso la parola il cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme dei Latini, la scrittrice e blogger Paola Caridi, il giornalista e senior advisor dell’Ispi Ugo Tramballi, nonché l’attivista per la pace israeliano Meron Rapoport, già caporedattore del quotidiano «Haaretz».
Presentando questa iniziativa il presidente provinciale delle Acli Daniele Rocchetti aveva sottolineato come, «al di là della cronaca degli eventi tragici di queste ultime settimane, occorra riflettere sulle origini di un conflitto che si perpetua dalla metà del secolo scorso. Abbiamo organizzato una serata online proprio per avviare un percorso di approfondimento che eviti inutili manicheismi e prese di posizione acritiche». In apertura della trasmissione in streaming, Rocchetti ha poi sottolineato la necessità di «una pace che abbia i contorni della giustizia, garantendo da un lato la sicurezza di Israele, dall’altro l’effettiva esistenza di uno Stato palestinese».
L’altro ieri il cardinale Pizzaballa aveva pubblicato una lettera indirizzata a «tutta la diocesi di Gerusalemme», ovvero ai fedeli cattolici di rito latino residenti in Israele, nei Territori Palestinesi, in Giordania e a Cipro: riferendosi a quanto è avvenuto per mano di Hamas lo scorso 7 ottobre, il cardinale scrive che «non possiamo non condannarlo. Non ci sono ragioni per un’atrocità del genere»; dopo aver ricordato però anche la situazione nella Striscia di Gaza (dove, mentre proseguono i bombardamenti israeliani, mancano «medicinali, acqua e beni di prima necessità per oltre due milioni di persone»), egli aggiunge che solo garantendo una chiara prospettiva di indipendenza nazionale al popolo palestinese «si potrà avviare un serio processo di pace».
Nello streaming di ieri, in un’intervista precedentemente condotta dallo stesso Daniele Rocchetti, il Patriarca Pizzaballa ha affermato che «in Terra Santa, ora come ora, si tende a considerare le cose da una sola prospettiva, la propria: risulta difficile comprendere il dolore degli altri». Come si spiega che, nel corso degli anni, i contrasti politici in questa regione abbiano assunto sempre di più una coloritura religiosa? «La fede e la religione non coincidono totalmente – ha risposto il cardinale -, anche se hanno bisogno l’una dell’altra, come l’anima ha bisogno del corpo. Il pericolo maggiore è che le istituzioni religiose vengano corrotte, inquinate da nazionalismi di diverso segno: un dialogo tra le fedi presuppone innanzitutto che ognuno degli interlocutori abbia veramente fede». Su un piano più propriamente politico, il Patriarca si è detto convinto che, «perlomeno nel breve-medio periodo, israeliani e palestinesi non siano nella condizione di poter vivere insieme. Occorre realisticamente perseguire l’obiettivo che questi due popoli possano vivere separati, uno accanto all’altro, mettendo fine a soprusi e a violenze». In conclusione ha invitato a «cercare chi crede nella pace»: «Teniamoceli stretti, avremo bisogno di loro».
Collaboratrice delle pagine culturali di diverse testate, Paola Caridi è presidente di «Lettera 22», un’associazione di giornalisti per la quale ha svolto a lungo un’attività di corrispondente dal Cairo e da Gerusalemme; con Feltrinelli Editore aveva pubblicato nel 2009 il volume «Hamas. Che cos’è e cosa vuole il movimento radicale palestinese». In collegamento da Amman, in Giordania, Paola Caridi ha dialogato con Michele Tallarini di Molte fedi, rimarcando che «Hamas non è Gaza, anche se vi esercita un’egemonia politica e militare. Nel 2006, nella Striscia, in elezioni giudicate regolari dagli osservatori internazionali, Hamas aveva vinto su Fatah. Negli anni seguenti Israele ha condotto diverse offensive militari, al punto che Gaza ha finito col diventare una sorta di “buco nero”. In questi giorni le autorità israeliane dichiarano di voler distruggere Hamas: la mia impressione è che stiano soprattutto distruggendo Gaza».
Già inviato speciale in diverse parti del mondo per «Il Giornale» di Indro Montanelli, Ugo Tramballi collabora attualmente con «Il Sole 24 Ore» ed è membro, oltre che dell’Ispi, del Centro italiano per la pace in Medio Oriente (Cipmo): collegato da Gerusalemme, egli ha spiegato come «tutti i conflitti combattuti nella regione, dal 1948 in poi, abbiano posto le premesse di ulteriori guerre. Sono rimasto colpito notando, in questi giorni, come il mondo intero sembri improvvisamente aver compreso la necessità di trovare una soluzione alla questione palestinese». Soluzione non facile, nel momento presente: «Nel 1993, al tempo degli Accordi di Oslo, gli insediamenti di coloni israeliani riguardavano una parte relativamente limitata della West Bank. Ora come ora, l’estensione di questi insediamenti e avamposti rende oggettivamente complicato tracciare delle linee di confine nette tra due differenti Stati».
In un video successivo Meron Rapoport ha risposto ad alcune domande formulate da Davide Finazzi, delle Acli di Bergamo. Rapoport è tra l’altro uno dei fondatori del movimento «A Land for All», che sostiene la necessità di creare due Stati indipendenti, Israele e Palestina, con confini aperti, libertà di movimento e istituzioni comuni. Come hanno reagito i pacifisti israeliani – gli è stato chiesto – ai recenti attacchi di Hamas contro i civili? «È stato un atto brutale, disumano. In Israele, delle persone che fino a poco prima si definivano pacifiste hanno incominciato a chiedere che “si cancellasse Gaza”. Capisco il sentimento di rabbia che le anima. Mi pare notevole, però, che alcuni tra coloro i cui parenti sono stati uccisi da Hamas abbiano assunto una posizione diversa: hanno dichiarato di non volere che la morte dei loro cari costituisca un pretesto per uccidere altri civili, questa volta palestinesi».
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