Green Day, quando la musica va oltre: il racconto di una notte speciale

IL RACCONTO. Franz Barcella, «anima» di Edoné, invitato dalla band al concerto a sorpresa ai Magazzini Generali di Milano. Una comunità si è ritrovata attorno all’evento, anche se il prezzo dei biglietti ha fatto discutere.

Quale è il giusto prezzo per un concerto? Centoquattro euro sono tanti o pochi, per uno degli show più esclusivi, desiderati e inaspettati dell’anno? È forse questo un prezzo punk? Questi e altri gli interrogativi che inondano web e stampa internazionale alla notizia che i Green Day, una delle band rock più famose al mondo, abituate a riempire stadi, suoneranno un concerto a sorpresa a Milano per sole 900 persone. Con un solo giorno di preavviso, scatenando una febbrile caccia al biglietto, le immancabili polemiche social, e un’attesa da Beatlesmania.

Dove in molti vedono un’astuta campagna di marketing per il lancio del nuovo disco, Saviors, e il trentennale del loro iconico disco Dookie, per le persone come me cresciute col culto del «Do It Yourself» e del punk, questo appuntamento in un piccolo club suona proprio come un ritorno a casa.

Dove in molti vedono un’astuta campagna di marketing per il lancio del nuovo disco, Saviors, e il trentennale del loro iconico disco Dookie, per le persone come me cresciute col culto del «Do It Yourself» e del punk, questo appuntamento in un piccolo club suona proprio come un ritorno a casa.

Questo perché il trio di Berkeley California è riuscito a più riprese a corrompere il mainstream da campioni di quella musica indipendente e quel modo di fare, e non viceversa. Fungendo per svariate generazioni da chiave per aprire la porta su un mondo fatto di mille band, artisti, pubblicazioni, locali, stimoli, diversità di pensiero. Io, in questo, sono un figlio di Dookie: prima di scoprirlo la musica rappresentava un semplice accompagnamento, ma dopo, è diventata la causa «di» e il motivo «per». Il legame fra i Green Day e la comunità Punk da cui provengono, nonostante la fama e il successo planetario, non si è mai veramente interrotto, e la controprova in questa occasione potrebbe essere, coff coff, il sottoscritto.

Qualche settimana fa, con gran stupore, vengo contattato da un membro della band: «Veniamo a Milano, ci piace il Punk Rock Raduno e quello che fate, volete venire a vederci suonare?». Ma come… loro così grandi, noi così piccoli… com’è possibile?

Qualche settimana fa, con gran stupore, vengo contattato da un membro della band: «Veniamo a Milano, ci piace il Punk Rock Raduno e quello che fate, volete venire a vederci suonare?». Ma come… loro così grandi, noi così piccoli… com’è possibile? È la magia della passione, che riunisce e connette persone ad ogni latitudine e di tutte le età. Famose e non famose. E proprio da appassionati, e perché con le mani in mano non sappiamo starci, decidiamo di attivarci per creare a nostro modo qualcosa di speciale: confezionare e stampare in tempo zero un numero speciale della nostra fanzine [leggasi: giornale autoprodotto]. Una sorta di libretto-prepartita con racconti, pensieri, ricordi legati ai Green Day. La nostra lettera d’amore da distribuire gratuitamente ad altri innamorati. O qualcosa che ci occupi il tempo e ci eviti di rivelare al mondo questo incredibile segreto.

E così eccomi qui, mezz’ora prima dell’inizio dell’evento, negli uffici dei Magazzini Generali, a piegare e impilare frettolosamente dei fogli ciclostilati, mentre nella stanza accanto c’è proprio Billie Joe Armstrong armato di chitarra acustica meticolosamente intento a riscaldare la voce. Un concerto per nessuno, fatto di scale di «Do Do Do» e «Fa Fa Fa» interrotti solo dallo stesso cantante, che improvvisamente apre la porta che ci divideva, scoprendo di avere un ascoltatore inatteso (e per giunta non pagante…). «Oh scusami, non pensavo ci fosse qualcuno, non volevo disturbare, sorry». E se ne ritorna ridacchiando nel suo camerino, pronto all’azione.

Il concerto è un tripudio di eccitazione, sudore, commozione e canzoni urlate a squarciagola da tutto il pubblico. Niente maxischermi, effetti speciali, allestimenti o fuochi d’artificio: uno show rock’n’roll granitico nella sua semplicità e liberatorio per i tanti che nel corso degli anni li hanno visti ripetere una formula vincente, ma ormai ripetitiva. Liberi da vincoli da stadio, dal dover accontentare un ampio pubblico più generalista e famelico delle tante, ma usuali hit radiofoniche della band, la scelta dei pezzi da suonare è un susseguirsi di sorprese e canzoni meno conosciute da album lontani. Una scaletta da sogno, proprio perché inusuale, che viene spesso cambiata sul momento dallo stesso Billie Joe: «Hey, ho un’idea, facciamo Chump ora!» e la band sembra divertirsi ancora di più ad affrontare il cambio repentino di programma, tra lo stupore ed esaltazione generale.

Alle prime note cerco di recuperare con lo sguardo gli amici, sparsi qua e là in una sala gremita fino allo svenimento, e vedo tanti occhi lucidi.

Alle prime note cerco di recuperare con lo sguardo gli amici, sparsi qua e là in una sala gremita fino allo svenimento, e vedo tanti occhi lucidi. Qualche anno fa venne in visita al Punk Rock Raduno lo scrittore ed imprenditore punk Larry Livermore, proprio colui che scoprì e pubblicò per la prima volta i Green Day per la sua Lookout! Records, e mi raccontò che la prima volta che li vide era a una festa di hippie in montagna. «Suonavano in un palchetto improvvisato davanti a 2 persone disinteressate, ma lo facevano con una passione e dedizione quasi fuori luogo. Sembrava stessero suonando in uno stadio, anche quando tutto attorno a loro era sconfortante e non lasciava trasparire nessuna speranza. Da lì mi sono innamorato di loro, e gli ho proposto di pubblicare un disco».

Ci ripenso quando è ormai tutto finito già da un’ora, ma sono ancora qui fuori dal locale a distribuire le ultime fanzine. Dalla timida ragazzina coi capelli colorati a Ringo di Virgin Radio, tutti vengono a prenderne una, tra la ricerca di un souvenir dell’evento e lo stupore di un puro atto d’amore fisico, cartaceo, insolito e proprio per questo inaspettato, «strano». A volte capita di chiedermi: cosa ci faccio qui, a congelare i piedi, fotocopiare giornalini autoprodotti, pubblicare dischi di band che non conosce nessuno, e organizzare concerti che non finiranno mai sui giornali?

A volte capita di chiedermi: cosa ci faccio qui, a congelare i piedi, fotocopiare giornalini autoprodotti, pubblicare dischi di band che non conosce nessuno, e organizzare concerti che non finiranno mai sui giornali?

Forse perché spero che uno di questi fogli fotocopiati possa aprire un nuovo mondo anche ad altre persone. Che li appassioni, li faccia sentire compresi, e li attivi a loro volta a fare una propria band, organizzare un concerto, fare quello che ti piace. È questo quello che Dookie e i Green Day hanno significato per me: m’hanno infuso il coraggio di esprimermi, e di farlo a modo mio. E so che non sono certo l’unico qui, ai Magazzini Generali. In effetti senza di loro, senza il Punk, non sarei certo qui a masticare il freddo. Ma non avrei nemmeno mai avuto il mio lavoro, che adoro. Non avrei mai girato il mondo, non sarei la persona che sono e che dopotutto mi piace essere, con tutti i difetti e gli insuccessi. E forse non sarei una persona felice. Come dare un giusto prezzo a tutto questo?

PS: [la fanzine speciale creata per l’occasione è scaricabile gratuitamente su www.pogozine.com]

Franz Barcella, «anima» dell’Edoné di Redona e del Punk Rock Raduno, ha potuto partecipare al concerto a sorpresa organizzato a Milano dai Green Day, band di fama mondiale, invitato da loro. Qui c’è il suo racconto dal concerto, unito a qualche riflessione sul dibattito aperto sul prezzo dei pochissimi biglietti disponibili (104 euro): per molti, un prezzo nient’affatto «punk».

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