Giuseppina Torre salvata dalla musica
La sua storia in un disco da sfogliare

«Life Book» è il nuovo disco della pianista e compositrice siciliana: un amore malato, una dedica alla madre, un pensiero per gli immigrati a Pozzallo.

Un disco da sfogliare «Life Book». La pianista e compositrice siciliana Giuseppina Torre l’ha concepito per uscire da uno di quei tunnel che la vita ti mette davanti. Il disco, pubblicato per la prestigiosa Decca Records (prodotto da Riccardo Vitanza e Davide Ferrario), raccoglie «appunti di vita» sensazioni, riflessioni sul mondo, sulle cicatrici interiori di una donna salvata dalla musica. Il tratto autobiografico non manca: in «Never Look Back» Giuseppina racconta in musica la voglia di chiudere definitivamente la porta del passato, per andare incontro all’esistenza senza sassi nel cuore. «Il disco nasce dalla mia esigenza di raccontare questi ultimi anni di vita vissuta», spiega lei. «I Pezzi raccontano la mia rinascita. Dopo aver constatato il mio più grande fallimento personale, sono arrivata persino a pensare di non fare più nulla con la musica. Un artista se non ha l’energia per diffondere quel che ha creato si perde. Era appena uscito il mio primo disco “Il silenzio delle stelle” e non avevo la forza di parteciparlo a qualcuno. Mi sentivo svuotata, nella mia crisi di affetti. Il rapporto in cui avevo riposto tutte le mie forze si era frantumato, la persona che avevo vicino mi era apparsa completamente diversa da come pensavo. Quando ho toccato il fondo, grazie anche all’aiuto di persone come Riccardo, ho trovato la forza per riemergere».

«Gocce di veleno» è il brano che rievoca quei momenti?

«Il pezzo trae spunto dalla mia esperienza personale, e dalla lettura del libro di Valeria Benatti che racconta la storia di una donna che è vittima di un amore malato e violento. Mi sono rivista in quel racconto di violenze fisiche e psicologiche. E Valeria dopo aver sentito la musica mi ha concesso di titolare il brano come il suo libro. Siamo diventate amiche, è una persona speciale. In “Gocce di veleno” cerco di spiegare come si vive dentro un amore malato, nella “golden cage”, la gabbia dorata in cui ci rifugiamo, vivendo come narcotizzati, incapaci di uscirne. Fuori dalla gabbia vediamo la vita che vorremmo vivere, ma non si è capaci di andare oltre le sbarre».

Il disco raccoglie tante pagine: «Rosa tra le rose» dedicato a sua madre, «Un mare di mani», sull’immigrazione. Lei tra l’altro vive vicino a Pozzallo. Come vive il clima del momento, da testimone diretta?

«Vivo vicino alla costa che si affaccia sul mar Mediterraneo che dapprima era la culla delle civiltà antiche dell’Occidente e ora è la tomba di tanti esseri umani che sperano di trovare qualcosa nella nostra terra e qui approdano. Ho avuto la fortuna sfortuna di assistere a momenti di salvataggio da parte della guardia costiera e le immagini mi hanno colpito profondamente: quegli occhi bianchi abbagliati dal faro, dalle lampare, quelle mani che si agitano, cercano altre mani per salvarsi, mentre altre mani non ce la fanno e scompaiono nel mare. Ci ho riflettuto: anche io in fondo ho cercato una mano che mi tirasse su. Siamo tutti uguali nelle diversità».

Lei suona il pianoforte, ha una formazione classica, fa musica strumentale sulla via di Allevi e altri del genere. Come definisce le sue composizioni?

«Seguo la via di una “new classic conteporary music”, di una nuova musica classica. La mia formazione emerge in modo evidente, però in questo disco c’è un’evoluzione maggiore verso la musica contemporanea, quella divincolata dagli schemi della categoria».

C’è uno spazio per l’improvvisazione nella sua musica?

«Ogni brano nasce da una mia improvvisazione. Mi siedo al pianoforte e improvvisando cerco una scintilla su cui costruire il racconto in musica. Da quel flash emozionale costruisco la trama, una partitura spesso pensata in modo circolare».

Il mare ha qualche riverbero sulla musica?

«È importante: mi dà serenità, che sia calmo o in burrasca. E poi nutre il mio essere mediterranea, con quella malinconia tipicamente siciliana. Amo la mia terra, ricca di tante cose e avara di occasioni. Ho un rapporto di amore e odio con la Sicilia. Lo racconto in “Dove sei”».

Ha scritto la musica per un documentario tratto da un libro scritto da Papa Francesco. Com’è stata l’esperienza? Lei ha vinto un sacco di premi, ha raccolto tanti allori nel mondo, quell’incontro cosa le ha valso?

«Quando è arrivata la commissione di quel lavoro era un anno complicato per me. Mi ero anche allontanata da Dio, perché avevo seminato amore e raccolto tempesta. Non capivo perché mi dovesse succedere una cosa così dolorosa. Quando mi hanno chiamato a comporre la musica per quel documentario ho pensato che fosse un segno del destino. Ho letto il libro di Papa Francesco: trattava temi importanti e attuali come l’arte, il tema dello “scarto”. Lui dice che Dio non ha mai scartato nessuno, quindi nessun

© RIPRODUZIONE RISERVATA