Cultura e Spettacoli / Bergamo Città
Giovedì 16 Gennaio 2025
Filosofia e spirito nelle note di Allevi
TEATRO DONIZETTI. Teatro sold out per un successo pieno e avvolgente, come le musiche del compositore di Ascoli Piceno. Nella sua proposta la volontà di costruire atmosfere alternando malinconia, consolazione, sorriso e dolcezza.
Con un successo pieno e avvolgente, Giovanni Allevi è tornato. Nella serata di mercoledì 15 gennaio è stato accolto dalla sala nobile per eccellenza della nostra città. In un teatro Donizetti sold out, ieri sera il pianista compositore di Ascoli Piceno ha proposto un recital a sua immagine e somiglianza. Una scaletta di quattordici brani - compreso «Tomorrow», il brano della sua ripresa dopo i due anni di sospensione forzata per malattia - intervallati dalle
introduzioni-pensieri-riflessioni del musicista, generoso di esplicitazioni: «Parlo troppo?» chiedeva schernendosi dopo i primi brani, una domanda retorica, sincera e non di circostanza. Le sue parole sono state un traslato fedele della sua musica, che non disdegna di parlare di filosofia, di spirito, e persino di religione cattolica, sissignori: non solo criticando - come non è raro sentire - la dimensione ipertecnologica della nostra attualità, ma anche di cosa contrapporre a un modo di vivere che sembra dettar legge ineluttabile nel nostro quotidiano. Allevi, fin dai suoi primi passi, si è destreggiato tra fan - consistenti e assidui, crescenti - e detrattori, esplicitamente critici rispetto all’ambizione della sua proposta musicale: proporsi come «musicista classico contemporaneo», forte di un pedigree accademico di tutto rispetto, con diplomi (oggi lauree) in pianoforte, composizione e direzione d’orchestra, consolidati da una laurea di filosofia che non è un suggello così scontato.
Tra pop, jazz e musica contemporanea
La sua proposta ha soprattutto scandalizzato quanti frequentano - da attori e da fruitori - proprio quell’ambito, la musica contemporanea, appunto, che si avvale di un elitarismo intellettuale che è agli antipodi del nostro. Il lessico e la sintassi di Allevi in effetti si pone a mezza strada, tra pop, qualche assaggio di rock, jazz e elementi di «contemporanea» distillati con parsimonia e ponderazione. Potrebbe uscirne un mix ad alto rischio, ossia una proposta che non è nessuno di questi generi, e in effetti tale è stata fin dai primi passi oltre 20 anni fa la proposta musicale di Allevi. Anche ieri sera Allevi ha saputo regalare le perle in parte eterogenee e in parte molto riconoscibili e coerenti della sua collana sonora.
Si potrebbe dire che le sue sono «cartoline musicali», un pensiero breve, netto e definito, che non di rado si muove secondo una dialettica ben definita: in questo, sì, la sua musica è «classica», ossia propone un elemento melodico e dolce, contrapposto a un altro più deciso, energico e corrusco
Si potrebbe dire che le sue sono «cartoline musicali», un pensiero breve, netto e definito, che non di rado si muove secondo una dialettica ben definita: in questo, sì, la sua musica è «classica», ossia propone un elemento melodico e dolce, contrapposto a un altro più deciso, energico e corrusco. È quella dialettica - di ascendenza hegeliana - che il «classicismo viennese» ha eretto a bandiera, costruendo le premesse perché l’arte delle sette note avesse una dignità linguistica al pari di ogni altra disciplina culturale.
Musica che parla a tutti
Il linguaggio di Allevi ha cura, sempre, di seguire una logica che sappia raggiungere il colto e l’inclito. Anche se - come è successo - spesso il primo non ha apprezzato una creatività musicale lontana dagli abbrivi a cui è solita la musica delle avanguardie.
Eppure nelle pagine raccontate e suonate (ineccepibilmente, a onta della sua mise casual, scarpe da ginnastica, jeans e maglia neri) si coglie la volontà di definire ogni volta un’atmosfera, che sia malinconica, consolatoria, sorridente e dolce, o non di rado, misceli con cura più di uno di queste espressioni.
I mezzi sintattici e lessicali non di rado attingono a sfere colte (ben ripensate) che vanno dal preludiare di Bach alle fluenze dei Debussy e Ravel, da certo percussivismo di Prokof’ev, stemperato e mai sarcastico, né brutale, fino al minimalismo di Part, rivisto con le armonie aperte e languide del nostro.
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