
(Foto di Frau)
TEATRO DONIZETTI. Teatro sold out per un successo pieno e avvolgente, come le musiche del compositore di Ascoli Piceno. Nella sua proposta la volontà di costruire atmosfere alternando malinconia, consolazione, sorriso e dolcezza.
Con un successo pieno e avvolgente, Giovanni Allevi è tornato. Nella serata di mercoledì 15 gennaio è stato accolto dalla sala nobile per eccellenza della nostra città. In un teatro Donizetti sold out, ieri sera il pianista compositore di Ascoli Piceno ha proposto un recital a sua immagine e somiglianza. Una scaletta di quattordici brani - compreso «Tomorrow», il brano della sua ripresa dopo i due anni di sospensione forzata per malattia - intervallati dalle
introduzioni-pensieri-riflessioni del musicista, generoso di esplicitazioni: «Parlo troppo?» chiedeva schernendosi dopo i primi brani, una domanda retorica, sincera e non di circostanza. Le sue parole sono state un traslato fedele della sua musica, che non disdegna di parlare di filosofia, di spirito, e persino di religione cattolica, sissignori: non solo criticando - come non è raro sentire - la dimensione ipertecnologica della nostra attualità, ma anche di cosa contrapporre a un modo di vivere che sembra dettar legge ineluttabile nel nostro quotidiano. Allevi, fin dai suoi primi passi, si è destreggiato tra fan - consistenti e assidui, crescenti - e detrattori, esplicitamente critici rispetto all’ambizione della sua proposta musicale: proporsi come «musicista classico contemporaneo», forte di un pedigree accademico di tutto rispetto, con diplomi (oggi lauree) in pianoforte, composizione e direzione d’orchestra, consolidati da una laurea di filosofia che non è un suggello così scontato.
La sua proposta ha soprattutto scandalizzato quanti frequentano - da attori e da fruitori - proprio quell’ambito, la musica contemporanea, appunto, che si avvale di un elitarismo intellettuale che è agli antipodi del nostro. Il lessico e la sintassi di Allevi in effetti si pone a mezza strada, tra pop, qualche assaggio di rock, jazz e elementi di «contemporanea» distillati con parsimonia e ponderazione. Potrebbe uscirne un mix ad alto rischio, ossia una proposta che non è nessuno di questi generi, e in effetti tale è stata fin dai primi passi oltre 20 anni fa la proposta musicale di Allevi. Anche ieri sera Allevi ha saputo regalare le perle in parte eterogenee e in parte molto riconoscibili e coerenti della sua collana sonora.
Si potrebbe dire che le sue sono «cartoline musicali», un pensiero breve, netto e definito, che non di rado si muove secondo una dialettica ben definita: in questo, sì, la sua musica è «classica», ossia propone un elemento melodico e dolce, contrapposto a un altro più deciso, energico e corrusco
Si potrebbe dire che le sue sono «cartoline musicali», un pensiero breve, netto e definito, che non di rado si muove secondo una dialettica ben definita: in questo, sì, la sua musica è «classica», ossia propone un elemento melodico e dolce, contrapposto a un altro più deciso, energico e corrusco. È quella dialettica - di ascendenza hegeliana - che il «classicismo viennese» ha eretto a bandiera, costruendo le premesse perché l’arte delle sette note avesse una dignità linguistica al pari di ogni altra disciplina culturale.
Il linguaggio di Allevi ha cura, sempre, di seguire una logica che sappia raggiungere il colto e l’inclito. Anche se - come è successo - spesso il primo non ha apprezzato una creatività musicale lontana dagli abbrivi a cui è solita la musica delle avanguardie.
Eppure nelle pagine raccontate e suonate (ineccepibilmente, a onta della sua mise casual, scarpe da ginnastica, jeans e maglia neri) si coglie la volontà di definire ogni volta un’atmosfera, che sia malinconica, consolatoria, sorridente e dolce, o non di rado, misceli con cura più di uno di queste espressioni.
I mezzi sintattici e lessicali non di rado attingono a sfere colte (ben ripensate) che vanno dal preludiare di Bach alle fluenze dei Debussy e Ravel, da certo percussivismo di Prokof’ev, stemperato e mai sarcastico, né brutale, fino al minimalismo di Part, rivisto con le armonie aperte e languide del nostro.
© RIPRODUZIONE RISERVATA