Daste, rabbia e divertimento con King Khan & The Shrines

Il concerto Approda a Bergamo un artista decisamente fuori dagli schemi. A Daste stasera (23 giugno) sul palco della rinnovata e ambiziosa struttura comunale ci sarà King Khan & The Shrines.

Approda a Bergamo in concerto un artista decisamente fuori dagli schemi. A Daste stasera (23 giugno) sul palco della rinnovata e ambiziosa struttura comunale ci sarà King Khan & The Shrines, corposo ensemble di nove elementi guidato da King Khan, all’anagrafe Arish Ahmad Khan, cantante, musicista, produttore e scrittore canadese, guru e frontman della band. È la seconda tappa, dopo quella invernale, dei concerti inscritti nella cornice di «Visioni», mini rassegna organizzata dal Comune di Bergamo nell’ambito dei programmi del progetto Legami urbani e rivolto a sostenere la vocazione dell’ex centrale termica quale punto di riferimento per esperienze artistiche fuori dagli schemi. «Suoni da un futuro lontano» è il sottotitolo della rassegna ed ha l’obiettivo di proporre artisti internazionali indipendenti di grande qualità ma ancora poco noti alle nostre latitudini. Ad aprire la serata alle 21 (ingresso libero) sarà un gruppo italiano, XIWT, nuova band di cinque elementi che si muove tra garage, psichedelia, no wave. In chiusura di serata dj set con Brown Barcella. Abbiamo intervistato King Khan.

Nella sua musica si passa dal punk al rhythm and blues, dal garage rock al jazz estremo e visionario di Sun Ra. Come racconta il suo viaggio?

«Ho scoperto la via della mia emancipazione artistica suggestionato dalla pitagorica “musica delle sfere”. Ho anche imparato molto presto che si deve creare un mito e diventarlo».

Nei suoi show l’elemento scenico è molto importante. Fa parte di questa costruzione del mito?

«Voglio produrre contemporaneamente un’estasi per gli occhi e per le orecchie, portare insieme elementi voodoo e psicomagia».

Come è nata la band e cosa la distingue dalle sue molte altre anime?

«Avevo 22 anni quando ho deciso di stabilirmi in Germania. Il mio obiettivo era di creare qualcosa tanto potente e rivoluzionario quanto ciò che hanno fatto James Brown, Screamin Jay, Little Richard. Il tutto combinato con un po’ della maestosità di Sun Ra. Nel segno della psichedelia e del rhythm’n’blues».

Nella sua vicenda artistica e personale si alternano rabbia e divertimento. Possono coesistere nella stessa musica?

«Sì, assolutamente; credo sia definita furia!»

Ha realizzato diverse colonne sonore. Cosa ha rappresentato per lei la più recente, quella per il film «The Invaders» dedicato ai diritti civili?

«Ho lavorato quasi dieci anni su questa colonna sonora, su cui il fantastico rapper Nas ha fatto da voce narrante. Questo film ha cambiato la mia vita e ispirato il “Black Power Tarot” (una versione dei Tarocchi di Marsiglia che rappresenta musicisti, comici, attivisti e persone di rilievo del mondo afro americano). Mi ha fatto connettere con alcune grandiose icone del Black power come Malik Rahim delle Louisiana Black Panthers e John Burl Smith degli Invaders, con cui sto lavorando negli ultimi anni».

Come è nata l’idea dei Black Power Tarot?

«È stato frutto dell’infinità di filmati visti per il film “The Invaders”. Uno particolarmente straziante è stato vedere la veglia funebre di Martin Luther King e la fila di bambini in visita alla salma. Ero immerso in filmati sui diritti civili che si sono insinuati nei miei sogni come lo ha fatto Alejandro Jodorowsky, che mi ha guidato in sogno e nella realtà nel creare la serie di questi Tarocchi, disegnati da Michael Eaton, un fantastico artista visivo irlandese che ha lavorato molto sul “Trono di Spade”».

Cosa pensa del movimento «Black power»?

«È la più importante fonte d’ispirazione per me. Ho letto l’autobiografia di Malcom X quando avevo 12 anni ed essendo nato e cresciuto nel mondo predominantemente bianco del Canada ho vissuto molti episodi di razzismo nella mia gioventù. Mentre il mondo regredisce sempre di più in una mentalità colonial-medievale e l’ignoranza ed il profitto sono arrivati ai massimi storici, dobbiamo guardare al modo in cui le organizzazioni del black power hanno aiutato le loro comunità e fare lo stesso. Sono impressionato da come l’assassinio di George Floyd abbia fatto eco a livello internazionale e abbia ridato spinta alle lotte dei neri in America. Devo anche lodare il lavoro di EJI (Equal Justice Initiative) di Montgomery, in Alabama, per il loro impressionante lavoro e la creazione del “memoriale del linciaggio”, un modo davvero forte per confrontarsi con il passato insanguinato dell’America».

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