
Cultura e Spettacoli / Bergamo Città
Lunedì 24 Marzo 2025
Dagli affreschi ai video, in venti storie l’arte intrecciata al desiderio di giustizia
L’INTERVISTA. Giovanna Brambilla mercoledì sera 26 marzo, al Qoelet di Redona, presenta il suo libro «Diritto e rovescio» per la rassegna «Molte fedi». Dalla libertà di parola alla dignità dei migranti, uno sguardo nuovo legato alla vita.
Si può concepire l’arte come un’oasi o un giardino cintato, in cui cercare riparo e sollievo dalle turbolenze e dalle fatiche della vita sociale; tuttavia, si può anche attribuire alla creazione artistica il compito di illuminare le contraddizioni del mondo circostante, sollecitando nello spettatore un’assunzione di responsabilità. Questa seconda prospettiva viene chiaramente adottata in Diritto e rovescio. Venti storie di arte e giustizia, un volume di Giovanna Brambilla appena giunto nelle librerie (Vita e Pensiero, pagine 152 con numerose immagini a colori, prefazione del monaco della Comunità di Bose Guido Dotti, 16 euro; disponibile anche in formato ebook a 10,99 euro).
Su invito dei promotori della rassegna «Molte fedi sotto lo stesso cielo» il testo verrà presentato mercoledì 26 marzo alle 20.45 a Bergamo, al cineteatro Qoelet di Redona, in via Leone XIII (ingresso libero, con prenotazione nel sito moltefedi.it): dialogherà con l’autrice l’accademico dei Lincei Gabrio Forti, professore emerito di Diritto penale.
Storica dell’arte, docente dell’Istituto «Vittorio Emanuele II» di Bergamo ed esperta di educazione al patrimonio culturale, Giovanna Brambilla già aveva svolto in precedenti sue pubblicazioni un’indagine iconologica sulle dimensioni del male e del lutto, della «rinascita» e della «giustizia riparativa» (segnaliamo al riguardo Opere di Riconciliazione, scaricabile gratuitamente in formato digitale da vitaepensiero.it). A Giovanna Brambilla abbiamo chiesto per prima cosa di spiegare il senso della ricerca che da tempo va conducendo.
Ci pare che lei voglia andare oltre i limiti della storia dell’arte, nell’accezione più «tradizionale», collegando le immagini che prende in esame con temi antropologici, sociali e politici: è un approccio che ricorda, per certi aspetti, quello dello storico Carlo Ginzburg.
«Si tratta di un modo di intendere la ricerca - o forse, di un’angolatura dello sguardo - che da tempo mi accompagna, anche in modo involontario. Una lunga pratica di lavoro nei musei mi ha portato a pensare che molto spesso l’arte tenda ad annidarsi entro un recinto, diventando una disciplina autoreferenziale: la si osserva e la si studia prevalentemente per i suoi valori formali ed estetici. Come, allora, avvicinarla a chi non ha un interesse specifico per artisti, mostre, musei? Credo che la risposta stia nel mettere in luce gli intrecci che, da sempre, legano l’arte alla vita umana: ai suoi desideri, alle sue paure, alle questioni cruciali con cui si confronta. Sono nati così i miei libri Inferni (EDB), Mettere al mondo il mondo (Vita e Pensiero), Aldiqua. Immagini per chi resta (Lubrina Bramani Editore). Diritto e rovescio sposta l’accento su un tema che negli ultimi anni mi ha coinvolto particolarmente, sia perché ho curato alcuni progetti che mettevano in dialogo l’arte con la giustizia riparativa e rieducativa, sia perché, come insegnante, mi pongo spesso il problema di come mettere in relazione la mia disciplina - Arte e territorio - con l’educazione civica. Credo quindi che Diritto e rovescio possa interessare chi è appassionato all’arte, ma anche chi ha cuore le questioni attinenti alla giustizia e desidera leggerle in una chiave diversa, o chi cerca strumenti per lavorare con gli studenti sull’esercizio della cittadinanza».
Le opere d’arte commentate in questo libro sono in controtendenza, rispetto allo «spirito del tempo»? Perché oggi il concetto della «giustizia» sembra soprattutto essere evocato - ci passi il gioco di parole – in un’accezione «giustizialista»: si chiede allo Stato – legittimamente - di individuare e sanzionare gli autori di reati. Più raramente il discorso si porta sulle condizioni di vita nelle carceri o sulla necessità che le pene tendano alla rieducazione del condannato.
«Per quanto riguarda la sensibilità diffusa sul tema della giustizia, oggi dobbiamo fare i conti con un immaginario alimentato dai social e dalla vulgata dei media; a fronte di questa tendenza alla “semplificazione” dei problemi, è ancora più urgente promuovere il discernimento di ciò che è giusto, il principio dell’irriducibilità delle narrazioni a un unico punto di vista, la difesa dei diritti delle persone. Molti degli artisti e delle artiste menzionati nel mio libro, per la maggior parte contemporanei, danno voce a questa esigenza, per la quale si sono spesi con un impegno tenace e ostinato, dando forma visiva a questioni che nel tempo hanno mantenuto inalterata la loro importanza e che oggi sono di scottante attualità: per esempio, la libertà di parola, la censura di Stato, il diritto all’istruzione, le condizioni di vita dei carcerati, la fatica di farsi carico di parenti malati, l’istinto della vendetta contro chi ci ha fatto del male e la ricerca di una riconciliazione».
Ci può portare alcuni esempi di opere, tra quelle esaminate nel libro, che siano incentrate su questi temi?
«Quello della giustizia sociale è un filo rosso che corre sottotraccia in molte opere, e dal momento che esse parlano spesso di due parti in causa, due artisti potrebbero essere presi ad esempio per affrontare, sotto due diversi punti di vista, il tema della libertà di movimento attraverso i Paesi. Da una parte abbiamo Filippo Berta, con One by One, che prende spunto dal Nobel per la Pace assegnato nel 2012 all’Unione Europea, per poi trattare dei “muri” che si stanno erigendo in Europa per fermare i migranti. Il tema è dunque quello del confinamento: nel suo video Berta mostra delle persone intente a contare a una a una, come fossero grani di un rosario, le punte di un filo spinato eretto a formare una barriera. Nel progetto sono stati coinvolti cittadini della Slovenia, Croazia, Serbia, Ungheria, Grecia, Macedonia del Nord, Bulgaria e Turchia, per arrivare al Messico, agli Stati Uniti e alla Corea del Sud. Il secondo artista è Luca Vitone, che in Romanistan racconta - andando a ritroso fino a Chandigarth, in India - la storia del popolo dei Sinti e dei Rom: non un biblico “Popolo di Dio”, destinato alla Terra promessa, ma un popolo-Ulisse, ormai stanziale ma etichettato ancora come nomade, che abita da sempre una lingua, più che un territorio. Sia One by One, sia Romanistan mettono in discussione la visione etnocentrica propria di un nazionalismo che oggi sta riprendendo piede, contrapponendogli un modello di convivenza tra le culture basato sul reciproco rispetto».

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