Colapesce Dimartino, a Trescore l’insostenibile leggerezza del pop

IL CONCERTO. La coppia di cantautori stasera (30 agosto) al «Bum Bum Festival». Nei loro brani un disincanto che porta a riflettere. «Innamorarsi perdutamente non è mai un affare» l’ultimo successo.

Dagli esordi indie al successo sanremese di «Musica leggerissima» il passaggio è stato breve. Merito del tandem Colapesce Dimartino: cantautori di razza che, insieme, hanno messo a punto «l’insostenibile leggerezza della musica pop» sul versante delle canzoni intelligenti che funzionano a mille e finiscono sempre in classifica. Ne è prova l’ultimo singolo «Innamorarsi perdutamente non è mai un affare», pezzo forte del «Lux Eterna Beach Tour» che oggi fa tappa al «Bum Bum Festival» di Trescore Balneario (Parco Le Stanze; inizio ore 21; ingresso libero).

Colapesce, all’anagrafe Lorenzo Urciullo, classe 1983, e Dimartino, Antonio Di Martino, classe 1982, siciliani entrambi, sono un fenomeno strano, più unico che raro. Collaborano dal 2020, quando pubblicano l’album «I Mortali» non fanno altro che introdurre degli elementi di pop contemporaneo nelle sonorità classiche del cantautorato di casa nostra. Al Festival di Sanremo numero 72 regalano un tormentone da cinque dischi di platino e una traduzione in spagnolo. Segue il road movie «La primavera della mia vita» che indaga «l’inadeguatezza del vivere in una società piena di incomprensioni e incline alla disgregazione sociale». Poi arrivano il bis sanremese con «Splash» e l’album «Lux Eterna Beach», in equilibrio tra candore e sarcasmo.

Quello che colpisce delle loro canzoni è il disincanto, quella presunta leggerezza che porta inevitabilmente a riflettere e a condensare pensieri, anche afflitti da malinconia. Il segreto è tutto lì, nel dire cose in un certo modo, facendole sentire volatili, quando così non sono. Tutto dipende dalla lunga gavetta che hanno affrontato entrambi. Prima di formare la premiata ditta «Colapesce Dimartino» i due giravano per locali da tempo, facevano dischi con i rispettivi nomi ed erano molto apprezzati dalla critica. Il grande pubblico però stava da un’altra parte, guardava altrove.

Il simbolo del debutto, «I mortali», cambia le carte in tavola. Diventa un teatrino su come vanno le cose del pop. L’album racconta quel mondo ricorrendo sempre a una versione sottotraccia, una sorta di alternativa ritmico melodica che viaggia consapevolmente leggera, anche se i contenuti non lo sono affatto. La canzone diventa un grande magazzino di sogni e illusioni, capace di evocare una felicità vera che s’accompagna a un fondo di permanente amarezza. Che vincano moralmente un Sanremo, o vadano al cinema per raccontarsi, restano cantautori, registi di canzoni e storie disilluse.

Colapesce e Dimartino fanno di tutto per mandare il pop in cortocircuito, con il loro artigianato ad alta cura che evita casse dritte e facili ritornelli. In tal modo accostano una forma canzone che diventa gioco d’incastri funzionali a una melodia che arriva sempre e comunque a segno. In concerto evitano volentieri i rispettivi percorsi da solista, semmai preferiscono ironizzare sulle ritualità del live con qualche battuta sparsa. Il resto è musica ben suonata non da turnisti prezzolati, ma da veri artisti della condivisione come Nicolò Carnesi o Enrico Gabrielli. Le canzoni così movimentano un’onda musicale intelligente e contagiosa, leggerissima per scelta oculata.

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