Cavalieri: «Dal Monte Bianco allarme clima»

Ghiacciai in crisi Il rettore dell’Università di Bergamo, con Paolo Valoti presidente del Cai ha partecipato all’iniziativa «Climbing for Climate»: «Dobbiamo fare in modo che i nostri giovani, nel momento in cui dovranno prendere decisioni, si pongano il problema delle conseguenze ambientali. Nel nuovo piano strategico del nostro ateneo, in via di definizione, la sostenibilità sarà uno dei temi chiave. Anche attraverso l’attivazione di nuovi corsi di laurea»

Dalle aule universitarie ai ghiacciai del tetto d’Europa. O quello che ne resta. Anche l’Università di Bergamo, nella persona del rettore Sergio Cavalieri ha partecipato, venerdì 22 e sabato 23 luglio, all’evento nazionale sul Monte Bianco organizzato da Università di Brescia, Cai di Brescia, Università della Valle d’Aosta e diversi atenei piemontesi, nel quadro della quarta edizione di «Climbing For Climate», a sua volta promossa dalla Rete delle Università per lo Sviluppo sostenibile (Rus), di cui fa parte anche l’Università degli studi di Bergamo, e dal Club Alpino Italiano, per sensibilizzare sui temi della sostenibilità e del cambiamento climatico.

La due giorni prevedeva anche due sortite sui ghiacciai del Miage e del Gigante, che coprono (o coprivano) le spalle della montagna simbolo del continente. «Ci tenevo a essere presente per diversi motivi» spiega Cavalieri. «Stiamo portando avanti una collaborazione con l’Università di Brescia sul tema della valorizzazione dei territori montani: anche su questo fronte ci sono forti affinità fra le due province, le università devono farsene alfieri. L’evento mi ha impressionato per l’alto livello scientifico e dell’organizzazione, ma il sopralluogo sui ghiacciai ci ha lasciati molto preoccupati. Sabato mattina, dopo aver dormito al Rifugio Torino, alle 7 siamo usciti in cordata: pioveva a dirotto, nonostante fossimo a oltre 3.350 metri di altitudine». Gli interventi scientifici «hanno mostrato, dati alla mano, come, al di là dell’eccezionalità, c’è un trend molto preoccupante. È ora di dire basta. Le università sono e si sentono parte in causa, siamo noi quelli che portano avanti la ricerca. Non è più questione di opinabilità, di confronto fra fronti opposti», come sostenitori delle cause umane o naturali del riscaldamento globale. Cosa può fare l’Università? «Tutto avviene all’interno delle attività della Rus, che coinvolge quasi tutte le università italiane, i cui Gruppi di lavoro operano su vari fronti legati allo Sviluppo sostenibile. L’Università di Bergamo al momento partecipa ai GdL Mobilità, Cambiamenti climatici, Risorse e rifiuti, Educazione». Un impegno svolto «anche grazie al contributo delle professoresse Maria Rosa Ronzoni, delegato alla mobilità sostenibile, e Annalisa Cristini, prorettore allo sviluppo sostenibile». Ma, ovviamente, non si tratta solo di favorire le buone pratiche all’interno del sistema università. «L’evento ha avuto larga copertura mediatica nazionale. Un modo attraverso il quale gli atenei cercano di migliorare la capacità di fare “terza missione”: in questo caso sottolineando l’urgenza di azioni da parte dei policy makers». E di tutti noi.

La formazione di nuove classi dirigenti

Poi, naturalmente, c’è in gioco la formazione delle «future classi dirigenti». «Dobbiamo fare in modo che i nostri giovani, nel momento in cui dovranno prendere decisioni, nel sistema produttivo, finanziario, giuridico, o nel terzo settore, si pongano il problema della loro sostenibilità e conseguenze ambientali. Nel nuovo piano strategico dell’UniBg, in via di definizione, la sostenibilità è uno dei temi chiave. Lo declineremo anche attraverso l’attivazione di nuovi corsi di laurea, centrati su Tecnologia della Sostenibilità, Sostenibilità nel mondo finanziario, Esg. La cosa che ho particolarmente apprezzato è che, a questa iniziativa, erano presenti anche degli studenti, in rappresentanza di una associazione da loro costituita, per sensibilizzare i coetanei».

L’incontro è stato anche «una bellissima occasione per mettere in rete non solo le università ma anche altre associazioni, in particolare il Cai». Presente con il presidente generale Antonio Montani, e con il presidente della sezione di Bergamo Paolo Valoti: con il quale ultimo «dobbiamo promuovere, insieme, la cultura della montagna come luogo da rispettare. Ci siamo impegnati a trovarci, a breve, per valutare azioni comuni». «I due ghiacciai, del Miage e del Gigante, sono serviti come prova provata, tangibile, di cosa voglia dire un inverno con scarse o nulle precipitazioni nevose e alte temperature per tempi prolungati», aggiunge proprio Valoti. «Il ghiacciaio è un’enorme riserva di acqua, non avendo la copertura della neve questo magazzino, sensore sensibilissimo del cambiamento, si assottiglia». I torrenti che scendono vorticosamente dai due ghiacciai non devono ingannare: significano «lo sciogliersi della risorsa-ghiacciaio, che perdiamo irreparabilmente. Non dobbiamo più aspettare per cambiare i nostri comportamenti e contrastare i cambiamenti climatici».

«Dal punto di vista paesaggistico è una desolazione»

Il ghiacciaio del Miage è la via italiana di accesso alla cima del Monte Bianco. «Trent’anni fa ci si avvicinava ai due punti di appoggio, il Rifugio Gonella o la Capanna Quintino Sella, andando sempre sul ghiaccio: era tutto ghiacciaio. Venerdì abbiamo visto che fino al Gonella e alla Capanna si cammina su detriti. Lo scioglimento del ghiacciaio fa emergere sassi, pietre, massi erratici. Una pietraia che, paradossalmente, sta facendo da coperta per conservare quel poco di ghiaccio che sta sotto. Anche dal punto di vista paesaggistico è una desolazione. Ieri mattina abbiamo percorso un tratto del ghiacciaio del Gigante, punto di partenza della classica traversata sciistica della Mer de Glace, che permetteva di scendere fino a Chamonix. Discesa oggi assolutamente impraticabile, perché la mancanza di neve ha portato in superficie i crepacci».

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