«Caro figlio», le lettere inedite dei genitori al futuro Papa Giovanni XXIII

L’epistolario. Gli scritti di papà Battista e Marianna Mazzola inviati a don Angelo Roncalli dal 1901 al 1935 raccolti nel volume in libreria da martedì 20 settembre «Tutto il mondo è la mia famiglia» a cura di Emanuele Roncalli.

Il 29 novembre 1959, nel «Giornale dell’anima», Giovanni XXIII annotava: «Ora più che mai tutto il mondo è la mia famiglia. Questo senso di appartenenza universale deve dare tono e vivacità alla mia mente, al mio cuore, alle mie azioni». Molto tempo prima - dicembre 1931 – Angelo Giuseppe Roncalli aveva scritto: «L’educazione che lascia tracce più profonde è sempre quella della casa. Io ho dimenticato molto di ciò che ho letto sui libri, ma ricordo ancora benissimo tutto quello che ho appreso dai genitori e dai vecchi». Aprono uno squarcio inedito sul percorso di formazione del futuro Papa, dagli anni in cui era seminarista alla nomina a Delegato apostolico in Oriente, gli scritti raccolti in «Tutto il mondo è la mia famiglia.

Lettere ai cari, da cuore a cuore» (San Paolo, pp. 192, euro 18). Curatore del volume, in libreria da oggi, e che comprende un’importante appendice fotografica, è Emanuele Roncalli, giornalista de L’Eco di Bergamo, pronipote del pontefice: «Rispetto a precedenti edizioni delle lettere ai familiari – egli spiega -, in questa sono riportate per la prima volta le missive inviate ad Angelo G. Roncalli dai genitori Giovanni Battista e Marianna Giulia Mazzola. Il carteggio copre il periodo 1901-1935 e mette in luce le vere radici spirituali di san Giovanni XXIII: la sua umanità e la sua pietà personale ricevettero un’impronta peculiare dalla realtà del suo paese, Sotto il Monte, ma soprattutto dall’ambiente familiare».

Angelo Roncalli conservava scrupolosamente le lettere dei genitori?

«Sì, e dopo la sua morte questo carteggio passò dapprima nelle mani di mio nonno Giuseppe – fratello del Papa –, poi di mio padre Privato, che è mancato nel 2018. Io avevo già avuto modo di leggere queste missive verso la fine degli Anni Ottanta, mentre – insieme a mio fratello Marco e con l’aiuto di mons. Loris Francesco Capovilla, già segretario personale del Papa – stavo curando per Rusconi un’edizione dell’epistolario familiare roncalliano. Per questo nuovo volume, si è trattato di un lavoro assai impegnativo, durato anni: nelle lettere dei genitori – per la maggior parte redatte dal papà – ho dovuto interpretare le parole scritte con grafia incerta, rendere il senso di espressioni dialettali, stabilire a quali figure o situazioni rimandassero le allusioni presenti nei testi. Ho persino trascorso giorni al cimitero di Sotto il Monte, per identificare con precisione le persone nominate nel carteggio».

Nelle lettere inviate dai genitori non si nota un atteggiamento deferente nei riguardi del figlio, già prima che fosse ordinato prete e diventasse poi arcivescovo?

«È così: molte di queste lettere si chiudono con formule come “Sono e sarò sempre il vostro Padre Roncalli Battista” o “Siamo sempre il vostro padre e la vostra padre”. Al figlio, i genitori danno regolarmente del Voi, anche se qua e là nelle loro missive si intravedono degli accenti meno formali, talvolta di benevola ironia: «Vi prego – chiede Battista al chierico Angelo -, scrivete chiaro perché noi non siamo né dottori né preti”».

Anche Angelo scherza amabilmente, in una sua lettera di risposta.

«Da Roma, dove sta frequentando il Seminario dell’Apollinare, esorta i genitori a continuare a scrivergli, eventualmente coinvolgendo in questa attività i suoi fratelli e sorelle: “Non fa nulla che [queste loro lettere] siano scritte male, così un po’ per volta impareranno. Le vostre lettere, sapete, così semplici, così ingenue, mi fanno sorridere e insieme intenerire il cuore”. E aggiunge: “L’indirizzo scrivetelo come faccio io, il bollo mettetelo al suo posto in cima. Guardate che fortuna! potete diventare letterati senza andare a scuola”».

Al di là delle formule in uso al tempo, il registro è molto affettuoso. Quando poi Battista e Marianna raccontano gli incidenti e le difficoltà della vita di ogni giorno, lo fanno sempre con un tono di sereno affidamento alla Provvidenza divina.

«Da questo carteggio abbiamo la conferma che la prima e più importante scuola di spiritualità di Giovanni XXIII era stata la sua famiglia. La stessa vocazione al sacerdozio di Angelo era stata accompagnata e sostenuta dai genitori: nelle lettere, accanto a notizie concernenti la cerchia familiare o i compaesani, si tratta delle vicende della Chiesa, del pontificato di Leone XIII e dell’episcopato di Giacomo Maria Radini Tedeschi, di cui Angelo divenne segretario. In una lettera del 1905, Battista esprime gioia e commozione, raccontando appunto che il vescovo di Bergamo era stato loro ospite: “Grande fu la visita che a noi fece sua Eccellenza Nostro Monsignor Vescovo e più grande fu ancora il degnarsi di venire in casa nostra di poveri contadini che non sanno né garbo né i dovuti complimenti ai grandi personaggi di cui ora gode la nostra città di Bergamo».

Però, nell’epistolario, si trattano anche questioni estremamente concrete, come l’andamento dei raccolti, gli sforzi dei Roncalli per far quadrare il bilancio familiare, il tentativo di guadagnare qualche soldo in più con la bachicoltura: «Vi raccomando – scrive Battista nel maggio del 1904 - pregate pel nostro bene spirituale e se potete anche per quello dei bigatti [i bachi da seta]».

«La famiglia Roncalli non si è mai vergognata di essere povera. I genitori, dopo che Angelo è divenuto arcivescovo, non esitano a chiedergli di tanto in tanto un aiuto materiale: in tali occasioni il futuro Papa si fa in quattro per racimolare un po’ di denaro da mandare ai familiari. È significativa anche una lettera in cui Battista segnala al figlio il problema di un mancato pagamento da parte del conte Ottavio Morlani, proprietario dei terreni coltivati dalla famiglia Roncalli: Angelo, di ritorno a Bergamo da Roma, deve impegnarsi in un lavoro di mediazione, perché la questione venga risolta. Naturalmente, problemi del genere non riguardavano solo i Roncalli: da un punto di vista socioeconomico, queste lettere documentano una diffusa condizione di povertà che all’epoca interessava l’intera zona dell’Isola Bergamasca. Il carteggio peraltro testimonia anche di una trasformazione in corso: se le donne in precedenza si limitavano a gestire la casa, ora se ne vanno spesso a lavorare nelle filande, per una paga in realtà modesta. Potremmo quindi dire che già negli anni della sua giovinezza Angelo Giuseppe Roncalli andò maturando una sensibilità per i cambiamenti in atto nella società: per i “segni dei tempi”, secondo l’espressione del Vangelo di Matteo che verrà ripresa più volte nei documenti del magistero papale di Giovanni XXIII».

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