Carlo Skizzo Biglioli:«Canto il piacere di essere frainteso»

IL CONCERTO. Domenica sera il cantautore bergamasco sarà sul palco del «NXT» per un concerto antologico.

«Sarà un concerto antologico, lo sto preparando adesso», spiega il cantautore bergamasco Carlo Skizzo Biglioli. Suona domenica al «NXT» di piazzale Alpini (inizio ore 21.30; ingresso libero») e l’occasione è propizia per riascoltare dal vivo uno dei nostri autori più inventivi.

Skizzo viene dagli anni Ottanta, ha dalla sua un’esperienza importante, giocata su diversi fronti, da solista, in gruppo, ancora in solitudine alle prese con dischi ad alta creatività tipo «La scomparsa dell’uomo invisibile» e «OmegaBar».

«Sto provando un po’ di cose, ma penso che il grosso del concerto verterà sulle canzoni degli ultimi due dischi. Sono i lavori che oggi considero più volentieri. Prenderò fior da fiore, se vieni tu farò anche “Figli del rock’n’roll”. Quanto alle cover, che metto sempre in programma, stavolta mi sono sforzato di rileggere pezzi che non ho mai fatto. Da quando è aperto il “NXT” ci ho suonato sei o sette volte e non mi andava di ripetermi. L’importante è che il concerto sia divertente per tutti, e non sia una cosa ingessata».

Da «Figli del rock’n’roll» all’ultimo disco conosciuto, «OmegaBar», ci son tempi lunghi, situazioni diverse, musica altra. Stilisticamente c’è un filo rosso o i dischi son capitoli di un «work in progress»?

«Musicalmente ho alimentato l’idea di non aderire a un genere, anche se mi sono sempre mosso all’interno di un certo ambito. Ne “La scomparsa dell’uomo invisibile” il genere non c’è più, mi sono molto concentrato sulla scrittura della canzone. Ma non dobbiamo dimenticare i vent’anni de La Famiglia Rossi, dove il sound era ben definito, nonostante il manifesto eclettismo. Se un’evoluzione c’è stata è certamente nata dalla ricerca del suono. Ho sessant’anni, ho cominciato a venti, in quarant’anni credo di aver capitalizzato una cosa in particolare: ho trovato la voce. Già dai tempi di Banda Nuova, poi con La Famiglia; ma anche prima con l’esperienza discografica condivisa con Caterina Caselli, ai tempi di “Stoffa”: Ho imparato un modo di cantare, soprattutto registrando in studio».

Insomma, si è concentrato sul desiderio di non avere un orizzonte preciso, per riuscire a cogliere stimoli interessanti a destra e a manca.

«Quando ero giovane ero veramente onnivoro, ascoltavo di tutto. Nel tempo ho imparato a concentrarmi sulla diversità delle produzioni, pensando a cosa fosse possibile inserire, o non inserire, nel repertorio de La Famiglia Rossi, ad esempio. Disco dopo disco mi sono concentrato sul da farsi. Poi ho cambiato stile di composizione. Sono partito scrivendo da cantautore intimista, negli anni Novanta sono passato a una scrittura più sociale, alla fine ho lavorato molto sul linguaggio. Strada facendo ho perso interesse alla canzone che mi racconta, alla dimensione collettiva, ho preferito incentrare la ricerca sul gioco di parole, i calembour, l’enigma de “La scomparsa dell’uomo invisibile”».

«OmegaBar» è un disco su Bergamo. Le canzoni sono «territoriali», anche se possono essere perfettamente comprese dalla casalinga di Voghera.

«I due lavori hanno alla base il fraintendimento: sono tutte canzoni fraintendibili. Una canzone che sembra parli d’amore magari non è altro che un gioco di parole, così come un’altra che sembra racconti di una località dispersa nel mondo e in realtà parla della nostra città. Le canzoni hanno tutte più livelli di lettura. Del resto da cantautore puoi essere amabilmente frainteso».

Allora abbiamo il titolo del prossimo album: «Carlo Schizzo: canzoni del fraintendimento».

«E perché no!».

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