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Cultura e Spettacoli / Bergamo Città
Sabato 04 Gennaio 2025
Battiato, Maneskin e il circo per un Piccolo Principe che sa parlare a tutti
L’INTERVISTA. Il regista Stefano Genovese racconta lo spettacolo che a febbraio andrà in scena a ChorusLife Arena. «Attingiamo a tutti i linguaggi dei teatri e della musica, con varie canzoni, ma non è un musical. Il bambino ritrova il lato immaginifico, l’adulto il libro conosciuto da giovane».
La nuova stagione di spettacoli di ChorusLife Arena si presenterà in febbraio con «Il piccolo principe», show firmato Razmataz Live, con la regia di Stefano Genovese. Una proposta che traduce in molteplice esperienza di scena uno dei libri più amati di ogni tempo (dal 1943, quando fui pubblicato, è il più tradotto dopo la Bibbia (oltre 500 lingue e dialetti) e ha venduto più di 200 milioni di copie in tutto il mondo (19 milioni in Italia). Sarà rappresentato a Bergamo l’8 e il 9 febbraio (dopo la prima tappa a Lecce (biglietti su Ticketone) ed è il riallestimento di un fortunato progetto che ha debuttato nel 2023 con successo.
Un capolavoro senza tempo
Stefano Genovese, regista e adattatore, si è mosso tra teatro, scrittura, musica e musical. Tra i lavori più rilevanti l’adattamento per il teatro del film Mission, (Seul 20111), il grande classico di Broadway Gypsy con Loretta Goggi, il musical tratto da Ghost. «Lo spettacolo è una messinscena del Piccolo principe, nelle note di regia ho messo le parole che tutti conoscono e la storia che nessuno ricorda esattamente, come il pianeta, l’extraterrestre, e non si ricorda la storia esattamente. Come i libri di Oscar Wilde, è pieno di aforismi estrapolati e non molti lo sanno. È la messinscena di un capolavoro ancora nelle classifiche di vendita da 80 anni. Continua non solo de essere pubblicato, 7-8 anni fa sono scaduti i diritti d’autore, e ci sono tante riedizioni. È letteratura per ragazzi, ma, come il nostro spettacolo, non è solo per bambini, ha più livelli di lettura. Il bambino ritrova il suo eroe che lotta e vince contro il mondo degli adulti (tutti gli adulti sono stati bambini); lo stesso lo spettacolo è per famiglia ma il bambino ritrova il lato immaginifico. Anche l’adulto apprezza e ricorda il libro che aveva conosciuto da bambino e invece ha riscoperto in chiave diversa. Io lo trovo un libro interessante, pensavo che potrebbe essere uno spettacolo teatrale che si differenzia molto dal teatro per ragazzi».
Come si può descrivere dal punto di vista teatrale e musicale?
«È uno spettacolo che attinge a tutti i linguaggi dei teatri e della musica, con varie canzoni: ma non è un musical, abbiamo fatto una scelta particolare. Abbiamo pensato all’aviatore che sale sul suo aereo, e precipita nel deserto. Mi è venuto in mente David Bowie con Space Oddity (canta un astronauta disperso), abbiamo quindi optato per canzoni che tutti conoscono, canzoni belle e che raccontino quello che dicono i personaggi in quel momento. Ad esempio per la volpe che prende cura del principe, addomesticata da lui e c’è “La Cura” di Battiato. La rosa che si mostra bella ha l’Habanera della Carmen di Bizet e quando resta sola sul pianeta abbandonato c’è “Loneliest” dei Maneskin riarrangiate. Le parole sono giuste, le abbiamo lasciate come sono in originale. Sono in tutto sei canzoni».
Si parla di uno spettacolo «performativo»…
«Certo c’è anche il linguaggio del circo, per alcuni dei personaggi bizzarri che incontra il Piccolo Principe: ci sono tre acrobati circensi, la cui arte è stata scelta in funzione del personaggio, come il cacciatore di stelle. Per la parte visiva cc’è la scenografia di Carmelo Giammello e i costumi di costumi di Guido Fiorato».
Quale è per lei il messaggio forte dello spettacolo?
«Direi l’attualità del romanzo. L’autore racconta e realizza i disegni nel libro, li racconta perché se avesse raccontato questa storia senza prove visive la gente non avrebbe creduto che avesse visto extraterrestri … con le immagini la gente è più propensa credergli:. Mi sembra già questo un fatto attualissimo: la gente crede più alle immagini che alle parole. Altra cosa sintomatica, per sei adulti non c’è un nome, ma sono identificati dalla professione: come dire che il lavoro più importante dalla identità, un concetto futurista. Oggi è così, e non solo, sono identificati come l’ubriacone, il re, il lampionaio, … il “vanitoso”, per noi è il prim’attore. E poi tutti i personaggi stanno da soli sul propri pianeta, chiusi nel loro mondo. Non hanno altro, purtroppo succede».
Come è nata l’idea?
«Era un progetto nel cassetto del produttore che mi disse “vorrei uno spettacolo con diversi linguaggi” non solo però un musical, e adatto a pubblico di famiglia: insieme a lui abbiamo irato fuori il Piccolo Principe: nei cartelloni non si sa come classificarlo tra le programmazioni. È più di tutto spettacolo teatrale che usa tutti 7 attori: il Principe è un bambino di 8 anni e abbiamo cercato di mantenere questo dato. Non lo abbiamo voluto troppo preparato, come certi attori che facevano i bambini. Alle audizione, abbiamo scelto protagonisti il più naturale possibile, e abbiamo cercato di mantenerlo nella sua naturalezza».
Qual’è il messaggio forte del Piccolo Principe?
«Il teatro è l’unico mondo, oltre che mezzo, che è in grado di arrivare veramente alla nostra anima, che riesce a smuoverti, anche e proprio grazie all’esperienza dal vivo. Il cinema, mezzo di grandi sogni sarà sempre più meraviglioso oltre la fantasia grazie anche ad AI, Ma. il teatro, è un mondo unico per condivisione di emozioni. Tu sei in mezzo ad alta gente e altri uomini sul palco che trasmettono qualcosa. La musica rende tutto più epico, l’ho sperimentato con la musica di Morricone, E dal vivo, col canto è ancora più potente e evocativa».
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