Angelo Bendotti, una vita per la Resistenza

IL LUTTO. Il presidente dell’Isrec è scomparso il 23 dicembre. Il ricordo della direttrice Ruffini: «Da studioso e ricercatore ha scritto la storia bergamasca di quegli anni. La sua passione e il suo rigore l’eredità più grande».

È scomparso, nella mattinata di lunedì 23 dicembre, nella sua casa in via degli Albani, a Bergamo, dove viveva con la moglie Gabriella, Angelo Bendotti, anima, fulcro e motore, per decenni, dell’Istituto Bergamasco per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea. Aveva 83 anni. La causa, un ictus. La salma è ora alla Casa del commiato di via Suardi 36. I funerali civili si terranno giovedì 26 dicembre, alle 15, nella Sala Galmozzi di via Tasso 4.

L’ultimo libro, dedicato Giorgio Paglia

«Se n’è andato alla sua maniera, senza preavviso», ci dice Elisabetta Ruffini, che a lui è succeduta quale direttrice dell’Istituto, che con lui ha scritto un libro «scomodo» quale «Gli ultimi fuochi», sui tragici fatti di Rovetta, che in lui ha verificato un modello di impegno nel lavoro e nella ricerca storica. «Credo che il suo ultimo libro», continua Ruffini, «Stasera mi fucileranno», dedicato a Giorgio Paglia (uscito il primo ottobre scorso per Il filo di Arianna), «sia un po’ un suo testamento. È una ricerca su un eroe della Resistenza preso contropelo, nella sua umanità di giovane figlio di un fascista e di una madre che lo amava perdutamente: Teresa Pesenti».

L’amore per la vita come eredità

Angelo «era venuto a conoscenza di un documento che la famiglia non aveva mai divulgato: il diario-lettera che Teresa scrive subito dopo la morte del figlio. Rivela un Giorgio Paglia inedito, anche nella sua sensibilità e nelle sue paure». Di Angelo «credo sia giusto non fare un santino - non avrebbe mai voluto-; un uomo, piuttosto, che ha cercato di studiare, capire, amare». Ha costruito a Bergamo un Istituto che «prova a interrogarsi su venti mesi tra i più complessi della storia del Paese con lucidità, senza moralismi né pregiudizi, cercando la verità anche se scomoda. Credo che il suo amore, la sua passione per la vita sia una delle sue eredità più grandi. Poteva sembrare burbero, aveva risposte selvatiche: ma è stato uno degli uomini più generosi, animati da voglia di fare, che io abbia mai incontrato».

Il Natale del 1944

Generosità e «solarità» percepibili fino all’ultimo: anche domenica 15 dicembre, alla Fondazione Dalmine, quando «eravamo insieme, e lui raccontava il suo Natale di bambino, a Schilpario, nel 1944». Da studioso, da ricercatore, Angelo «ha scritto la storia della Resistenza bergamasca, senza mai stancarsi di riprendere le carte, rileggerle, farle dialogare con le ricerche più aggiornate». È stato, nel suo ambito, «uno degli esempi più significativi di cosa sia uno studio della storia locale che aiuta a leggere la storia nazionale. Per lui fare l’intellettuale non voleva dire fare grandi discorsi, ma leggere, andare in archivio, confrontarsi con i documenti, rimettersi in discussione tutte le volte, con umiltà».

Univa, a questo rigore storico, «una grande capacità narrativa e di ascolto». L’Isrec di Bergamo è stato «forse il primo» a portare l’attenzione sulla storia degli internati militari italiani, «quando non erano di moda. Abbiamo un patrimonio quasi unico di testimonianze raccolte negli anni Ottanta, quando nessuno si interessava degli Imi». Ricerca confluita in «Prigionieri in Germania: la memoria degli internati militari» (Il filo di Arianna, 1990).

«Non ha avuto paura di confrontarsi»

Anche casi, fatti, biografie che eleggeva a oggetto di studio, «non erano quelle canoniche», ma quelle «che facevano problema». Come «Piombo fraterno. L’esecuzione di Angelo Del Bello “Mino”» (ivi, 2020), comandante partigiano ucciso da altri partigiani. «Non ha avuto paura di confrontarsi con l’eccidio di Rovetta ed il Mojcano, Paolo Poduje», considerato il responsabile della fucilazione. Si veda il volume, scritto con la stessa Ruffini, «Gli ultimi fuochi. 28 aprile 1945, a Rovetta» (ivi, 2008).

«Abbiamo liberato una storia che non veniva raccontata. Una storia a cui aveva lavorato per anni, cercando il Mojcano nonostante i partigiani facessero da “muro di gomma”». Un impegno condotto con acribìa, non indolore, «non immediatamente e non da tutti capito».

La nuova sede dell’Isrec

A marzo 2025 l’Isrec riaprirà in via San Giorgio 19: «Risultato di un impegno decennale di Angelo per dare una nuova e più spaziosa sede al patrimonio documentario e librario dell’Istituto. Non è un caso che nella nuova sede ci sarà un Archivio delle donne a Bergamo nel Novecento. Angelo aveva un’attenzione particolare per la storia delle donne: le ha sempre raccontate anche quando non era di moda».

«Credeva veramente nelle nuove generazioni, voleva che si misurassero con il fare»

Aveva promesso che «sarebbe rimasto presidente almeno fino all’inaugurazione, poi avrebbe fatto un passo indietro, perché credeva veramente nelle nuove generazioni, voleva che si misurassero con il fare. L’ho sperimentato in prima persona. Nel consiglio direttivo non ci sono mai stati i “grandi nomi” dell’antifascismo, ma c’è stato tanto spazio per chi aveva voglia di fare per l’Istituto».

La fiducia nei giovani

Nonostante questa intenzione di lasciare il testimone, con fiducia, ai giovani, Bendotti non era uomo facile ai «no» e ai «basta».

«Bisognava andare e si andava», anche, o forse soprattutto, nelle scuole, come il «Sarpi», dove chi scrive lo ha incontrato, la prima volta, da scolaro, assistendo a una sua conferenza. «Non si è mai chiuso nella torre d’avorio». Oltre alle citate, ha scritto «cose importanti», tra cui Ruffini ricorda il primo libro, con Giuliana Bertacchi, del 1983: «Il difficile cammino della giustizia e della libertà», che prova a fare il punto su «L’esperienza azionista nella Resistenza bergamasca» (sottotitolo), a partire dalle carte di Gl.

I libri, dal più sofferto al più solare

Sulla Resistenza bergamasca, è stato motore e protagonista di ricerche collettive, come quella, già citata, sui «Prigionieri in Germania», «quanto mai pionieristica». Il libro «più sofferto, ma non il più riuscito», è, secondo Ruffini, «I giorni alti» (2011), dedicato al «grande amico» Bepi Lanfranchi, partigiano e comandante della formazione Gl «Camozzi»: «È difficile parlare di un amico».

«Sempre leale, ha portato verità e conoscenza anche su lati della Resistenza che non erano mai stati indagati»

Il libro «forse più solare», invece, che rimanda ai «debiti belli verso il passato», è «Banditen» (2015): «Era presidente, eppure scrutinava carta su carta come un ragazzino, in quell’archivio dell’Istituto che conosceva meglio di tutti. Ma si era messo a ristudiarlo come fosse la prima volta».

«Ha portato verità e conoscenza»

Tra i molti messaggi di cordoglio, quello del vicesindaco Sergio Gandi: «Con Bendotti ci legava una grande amicizia, un rapporto sincero, a tratti vivace. Sempre leale, ci ha sempre sostenuto, anche come Amministrazione comunale. Ha portato verità e conoscenza anche su lati della Resistenza che non erano mai stati indagati. Onoreremo la sua memoria già dal 27 gennaio, con elementi di innovazione nella Giornata della Memoria in occasione dell’ottantesimo anniversario della Liberazione».

Il ricordo dell’Anpi

L’Anpi di Bergamo, per voce del suo presidente, Mauro Magistrati, si dice «commossa e costernata»: gli studi di Bendotti «sono stati fondamentali per la comprensione della complessa vicenda della Guerra di Liberazione nella provincia bergamasca e non solo. Caro Angelo, che la terra ti sia lieve. Grazie, per tutto». La Fondazione Dalmine, che ha ospitato, come detto, l’ultima sua comunicazione pubblica, sottolinea: «Abbiamo incontrato, salutato e abbracciato Angelo Bendotti, pochi giorni fa, in occasione dell’appuntamento “Natale 1944”. È con cordoglio e tristezza che ci uniamo ai molti che vogliono salutarlo e ringraziarlo, per l’impegno e la costanza dimostrata in questi anni di attivismo e ricerca».

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