Le provinciali decadute/5 Il Cesena, dalla ribalta di un film di Sordi agli esordi di Sacchi. Fino al crack e ai sogni di rinascita

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D ai burdel! L’essenza del calcio a Cesena sta tutta in questa esortazione diventata persino l’hashtag delle campagne social del club bianconero che ora vegeta in terza serie dopo aver conosciuto tempi decisamente migliori. Ma sta anche in un numero: 8.354 abbonamenti, quelli sottoscritti nella stagione 2018-19 in D, pochi mesi dopo un doloroso fallimento e una rifondazione ancora difficile da mandare giù. Il calcio a Cesena vuol dire il mitico conte Alberto Rognoni, tra i fondatori della società nel 1940, nume tutelare per anni della Lega Calcio, editore e direttore del mitico Guerin Sportivo (quello settimanale, l’educazione calcistica della generazione dai 50 in su), presidente fino al 1964 quando passa la mano ad un’altra leggenda romagnola, quel Dino Manuzzi che porta la squadra in A e financo in Europa e al quale è intitolato oggi lo stadio. Ma anche la famiglia Lugaresi, il padre Edmeo e il figlio Giorgio (non amatissimo dalla tifoseria), fino a Igor Campedelli e all’attuale Corrado Augusto Patrignani: perché in 81 anni di storia il calcio a Cesena ha avuto solo 6 presidenti. Questa è una terra passionale e accogliente, il romagnolo si sente qualcosa a parte dall’emiliano e guai a confonderli, ma calcisticamente parlando l’asse regionale è sempre stato spostato verso ovest: il Bologna con i suoi 7 scudetti, il Modena e le sue puntate in A nel dopoguerra e a metà anni ’60, mentre Reggiana, Parma e Piacenza erano ben lontane dall’arrivare. Il punto più ad est del calcio emiliano-romagnolo era semmai la gloriosa Spal, qualcosa a cavallo tra le due anime regionali, poi nel 1968 il Cesena arriva per la prima volta in B e la musica cambia.