“S ei un Gadda senza letteratura”, mormora il professor Caudano nel pomeriggio immoto di un martedì di inizio Agosto. Il pensiero gli viene guardandosi allo specchio, mentre indossa la giacca per uscire: pinguedine, corpulenza, aria un poco svagata, a non dire immalinconita, abbigliamento inattuale e insieme impeccabile.
Ma di Gadda, tolta la letteratura, che resta? Poco, e Caudano lo sa. Essersi definito come si è appena definito, non è un complimento. In fondo, anche un Dante senza poesia sarebbe soltanto un politico rissoso e un cittadino in perenne esilio, o un Manzoni senza letteratura sarebbe un uomo non facile, preda di frequenti nevrastenie, e un padre non sempre dalla mano felice. Gadda, Caudano lo ha citato come corpo contundente nel suo congedo dalla preside (quella frase su ogni oltraggio equivalente a morte, terribile). Gadda, Caudano lo legge con passione inesausta, e lo sente vicino perché alcune sue frasi gli si sono conficcate nella mente e nel cuore. Basti dire che il Gran Lombardo ha scritto della sua “inesistita giovinezza”: il povero Elvio ci si è specchiato molto più che nello specchio di cui sopra, adorando quel participio così ricercato, che costringe il lettore a soffermarsi e percepire tutto il dolore di quella consapevolezza ferita.