I l nostro è un folle amore senza fine. Lo ripete la Nord, insieme a tutto il Gewiss, come un mantra, un’onda troppo potente per bagnare solo le acque della nostra anima nerazzurra che fuoriesce impetuosamente dalla gola di bambini, giovani, adulti e anziani. Folle in latino significava vuoto, nel senso di privo di una densità concreta, di una realtà misurabile. E cosa esiste di più intangibile e folle della fede calcistica? Cosa è più istintivo e irrazionale del tifo per due colori e undici uomini in campo? Nulla. Tante volte la cosa ci spaventa, perché la logica del sostegno incondizionato per l’Atalanta ha delle ragioni che la ragione non conosce. Folle e senza fine, perché non ci lascerà mai né è possibile individuare il momento in cui abbiamo deciso di sposare la follia. È una cosa che ci appartiene, insita e intrinseca. Della partita di San Siro col Milan una cosa, la più importante e fondamentale, sarà da tramandare. Appena conclusa una delle peggiori partite della stagione, non tanto per atteggiamento ma per livello tecnico, l’Atalanta in verde acqua ha alzato gli occhi al cielo. Non per sbuffare o cercare un colpevole da qualche parte se non tra le mura dello spogliatoio. No. I ragazzi hanno alzato lo sguardo verso i 1336 del terzo anello verde.