D el nuovo stadio a Cagliari non c’è ancora l’ombra. Forse (ma forse…) la gara per la sua costruzione sarà bandita nella primavera del prossimo anno. Dovrebbe sorgere al posto del Sant’Elia che per il momento rimane lì, abbandonato nella sua maestosità se non fosse per dei pezzi di gradinata mancanti qua e là. Anche per questa stagione l’Atalanta gioca all’Unipol Domus, ovvero 4 gradinate in tubolari tirate su molto bene, una dignitosissima soluzione provvisoria che sta assumendo di anno in anno fattezze sempre più definitive. Ma alla fine per i tifosi rossoblù è comunque accettabile, anche perché dalla chiusura del Sant’Elia, stagione 2011-12, ne hanno viste di tutti i colori: un nome su tutti, Is Arenas, che da queste parti fa venire ancora i brividi. Se di primo acchito il nome pare rimandare all’arena in realtà in lingua sarda rimanda alla sabbia (che del resto anche in italiano si può chiamare “rena”): una storia tanto esotica quanto sfortunata. Siamo a Quartu Sant’Elena, tecnicamente nella città metropolitana di Cagliari, in numeri nella terza città dell’Isola dopo il capoluogo medesimo e Sassari, quasi 70mila abitanti. La squadra di calcio in passato ha pure militato in serie C2 ma ha il triste primato di prima squadra italiana radiata nel bel mezzo del campionato causa inadempienze (al plurale, rigorosamente) finanziarie, stagione 1983-84. Questa storia inizia invece nel nuovo millennio, stagione 2012-13 quando il Cagliari di Massimo Cellino, ora impegnato in quel di Brescia nel suo sport preferito, fare fuori allenatori in serie, decide di lasciare un Sant’Elia cadente e destinato a una capienza comunque ridotta. Nota bene, l’impianto era stato costruito nel 1970 per sostituire l’Amsicora dello scudetto (che sorge a un chilometro in linea d’aria) e risistemato vent’anni dopo per i Mondiali di calcio, ma tant’è.