“S camacca è un giocatore spettacolare, a Mateo piace il suo modo di giocare. Secondo me possono coesistere perché si completano molto bene, i giocatori tecnici e intelligenti si adattano a tutto e imparano giorno per giorno. Ma questa decisione spetta agli allenatori... Mateo deve continuare a imparare, deve aggiungere quotidianamente qualcosa di nuovo al suo gioco e alla sua vita”. Il virgolettato è ciò che Carlos Retegui, papà di Mateo, ha detto nel corso di un’intervista rilasciata alla testata on line tmw.com. Le parole di Carlos anticipano quello che diventerà (perché siamo sicuri che lo diventerà) uno dei tormentoni della prossima primavera calcistica nerazzurra, quando Gianluca, se saranno rispettati i tempi annunciati del suo recupero, tornerà a disposizione del tecnico di Grugliasco. Una coesistenza calcistica quella tra i due centravanti iniziata in modo non troppo esaltante agli Europei della scorsa estate, quando Gianluca e Mateo si sono spartiti il compito di indossare la “virtuale maglia” da numero 9 della Nazionale di Spalletti. In una squadra totalmente involuta nella costruzione del gioco, e quindi incapace di arrivare dalle parti dell’area avversaria con continuità, i due attaccanti sono finiti per diventare il capro espiatorio ideale del fallimento azzurro, anche se durante gli europei avevano diviso gli addetti ai lavori in due partiti distinti: uno pro Scamacca, uno pro Retegui. Il primo parteggiava per Gianluca adducendo quali motivazioni la maggior potenza, l’atletismo, e una qualità tecnica superiore rispetto a Mateo. Tutte doti che venivano in parte offuscate da quella sua tendenza ad estraniarsi dal gioco, ma che avevano anche un risvolto positivo. Scamacca poteva “assentarsi” per qualche, o diversi minuti, ma aveva la capacità di uscirsene fuori con giocate tanto pregiate quanto folli, alle quali ci si aggrappò disperatamente per invertire la quasi totale mancanza di gioco. Il secondo partito parteggiava invece per Mateo, quel ragazzo scoperto qualche mese prima dallo scouting della Federazione nella lontana Argentina, e che era stato inizialmente accolto con tanto scetticismo. All’epoca, la sua convocazione era stata percepita come la mossa della disperazione di un movimento calcistico che ormai da tempo non produceva più numeri nove di alto profilo.