C ome sottolinea sempre Gian Piero Gasperini, uno degli aspetti positivi di giocare le competizioni europee è quello di potersi confrontare con squadre propositive, assemblate per vincere le rispettive competizioni nazionali, e che propongono idee di gioco (a volte) innovative, o comunque lontane dagli standard del campionato italiano. Questo è in assoluto ancor più vero quando ci si riferisce alla Champions League, che è la vetrina delle migliori formazioni continentali, dove non ci si arriva di certo per caso. Nella massima competizione europea è quasi impossibile assistere a gare dal tatticismo esasperato e tutto “italico” quale è stata ad esempio, Milan-Juventus dello scorso fine settimana. Anche chi arriva da campionati di non primissimo livello, come la Super League Svizzera, tenta di imporre il proprio gioco, a volte vendendo cara la pelle, come aveva fatto la squadra di Magnin qualche settimana fa contro l’Inter, capitolando solo nel recupero e dopo aver sfiorato la vittoria nei novanta minuti di gioco regolari; altre volte andando invece incontro a risultati disastrosi, come è successo sempre alla squadra di Magnin martedì sera quando ha affrontato l’Atalanta. Il rotondo risultato del Wankdorf, che con il suo terreno sintetico qualche vantaggio alla formazione di casa l’ha pure dato, è maturato dallo scontro di due filosofie di gioco quasi in antitesi: quella di Gasperini, conosciuta ormai in tutta Europa per essere una squadra difficile da incontrare a causa della sua fase di non possesso, fatta di marcature e intensità, alla quale si unisce ormai da anni un potenziale offensivo di primissimo livello; e quella proposta da Magnin, che al contrario di quella di Gasperini è sembrata poggiare quasi esclusivamente sull’idea dell’attacco, o meglio dell’assalto, alle seconde palle dopo aver giocato lungo, con poca attenzione prestata a tutto il resto.