D ieci anni fa Antonio Percassi acquistava l’Atalanta e il giorno dopo, con la proclamazione da parte del Consiglio d’amministrazione, ne diventava presidente per la seconda volta. Già in precedenza ci aveva riprovato, ma la trattativa con Ivan Ruggeri era morta sul nascere. Troppo distanti le valutazioni tra il prezzo chiesto e quello offerto. E forse Ruggeri non aveva così voglia di vendere davvero, e Percassi veramente di acquistare. Le operazioni si fanno quando sono mature: quella, evidentemente, non lo era. Condizioni radicalmente diverse da quelle del 2010, quando la malattia del presidente e le oggettive difficoltà gestionali sorte in quei mesi favorirono di fatto il passaggio tra Alessandro Ruggeri (che giovanissimo si trovò a dover gestire una società complessa: a lui dovrà sempre andare la gratitudine dei bergamaschi) e Antonio Percassi. Il mondo atalantino ci sperava da anni, in fondo. Sperava che Percassi prendesse l’Atalanta per metterci dentro la sua visione imprenditoriale. Quel che tutti riconoscono al businessman di Clusone è quello di essere molto bergamasco nei modi, ma molto poco bergamasco nei pensieri.