P arliamo di calcio, finalmente, dopo questo lungo, interminabile stop. Era inevitabile, lo sapete. Già l’ultima partita che ho commentato di Champions League, Liverpool-Atletico, fu una grande imprudenza tenerla aperta al pubblico. E io ero lì, non vi nascondo quante precauzioni abbiamo avuto quella sera per evitare i luoghi dello stadio eccessivamente affollati. A proposito: parto da qui. Dal tema che un po’ in tutta Europa si sta discutendo: giocare a porte chiuse. C’è chi dice: senza pubblico non è calcio, quindi non mi interessa e anzi, non si dovrebbe nemmeno giocare. E c’è chi dice: in questa situazione questo è quel che si può fare. Io, ve lo dico in sincerità totale, sono di questa opinione. Io capisco chi va allo stadio ed è dispiaciuto di non poter vivere quelle emozioni. Lo so che una partita senza pubblico e una partita a porte chiuse non sono la stessa cosa. Però dico: tutto il mondo non è più la stessa cosa, e come possiamo pretendere che proprio il calcio resti l’unico aspetto della nostra vita uguale a prima? Magari fra un po’ si potrà ricominciare a entrare negli stadi, ma adesso occorre capire e accettare l’idea che non si può. Per le squadre, se si riesce a iniziare a giocare, anche economicamente è molto meglio per tutti. Se si inizia a giocare e finire i campionati si pongono anche piccole basi per il futuro, per affrontare meglio le difficoltà economiche di una parte delle società. Ci sono società grandi che per i loro ricavi sono in grado anche di reggere a lungo, ma società più piccole che non so quanto possano resistere. Ora il sacrificio c’è in tutta la società, si deve fare anche nel calcio.