E’ , o sembra, una metamorfosi. Sono passate due sole settimane dalla vittoria dell’Olimpico contro la Lazio, che aveva entusiasmato tutti. Eppure, in pochissimo tempo, di quella squadra non sembra esserci più traccia. Non più nella condizione fisica, straripante a Roma, molle adesso. Non più nella qualità tecnica: eccellente a Roma per precisione e tempismo, carente contro Lecce e Milan. Non più, soprattutto, nella cattiveria agonistica, nella convinzione: quelle caratteristiche che generano l’intensità e che trasformano l’Atalanta da squadra normale a squadra superlativa. Contro la Lazio, per dieci undicesimi, la formazione era la stessa di San Siro. Unica differenza: Hateboer per Maehle. L’Atalanta di Roma, quindici giorni fa, era un meccanismo perfetto. L’Atalanta di San Siro, quindici giorni dopo - ma in parte anche settimana scorsa contro il Lecce - è stata molle, imprecisa. Dagli occhi da tigre a occhi spenti. Capire il perché, è il vero rebus. Perché questa squadra è stata in alto da inizio stagione, dunque è difficile sostenere che i suoi valori non le possono consentire di competere per un posto in Europa. Europa, scriviamo e sillabiamo, non una specifica competizione, che per altri sembra diventato il mantra tassativo, dopo l’Olimpico. E invece ora sembra essere in caduta, mentre all’orizzonte di sabato prossimo si vede una partita con l’Udinese che diventa cruciale per non perdere troppo terreno, essendoci poi dietro l’angolo (citazione volontaria di Maurizio Costanzo, rip) il profilo del Vesuvio. Non proprio la situazione ideale per ripigliarsi. Pochi altri spunti di riflessione, perché l’orario non aiuta.