D oveva arrivare la piccola Atalanta a ricordare al grande Liverpool il sapore amaro della sconfitta in casa. Non succedeva solo da 64 partite, è successo ancora. Il tritacarne dell’andata non sembra vero, forse, ora più a Klopp che ai bergamaschi. Perché in campo l’Atalanta ha veramente dominato. Certo, un Liverpool pieno di seconde linee, ma parlare di seconde linee per una squadra di questo calibro fa quasi sorridere. L’Atalanta ha dominato con la forza della serenità, di un gioco ritrovato, di una testa compatta, di gambe che all’improvviso hanno ricominciato a girare. E’ il prezzo che paghi in campionato, quello delle motivazioni che solo questa competizione ti sa dare. Con lo Spezia paghi, con il Liverpool incassi. Altro che nazionali e voli intercontinentali che spompano i giocatori: queste sono teorie povere di contenuti e ricche di vittimismo un po’ provinciale. “It’s normal”, si è limitato a commentare Klopp, quasi stupito che gli fosse posta la questione. It’s norma: quando di mezzo ci sono impegni di questo livello, è completamente umano che la testa vada ad Anfield anche quando le gambe sono al Manuzzi di Cesena. Che è come mangiare un grissino molliccio in attesa delle ostriche: lo sgranocchi, ma sogni il resto.
Il resto lo abbiamo appena visto, ed è una notte magica per tantissimi motivi. Il primo: non è andata come le altre volte. Non è andata come a Dortmund, non è andata come a Copenaghen, non è andata come la finale di Coppa Italia, non è andata come con il PSG. Stavolta il sogno l’Atalanta l’ha accarezzato, l’ha gestito, l’ha raddoppiato e l’ha portato a casa. Peccato, enorme peccato quello stadio vuoto, perché migliaia di bergamaschi sarebbero andati e tornati anche a piedi, pur di vivere un’esperienza del genere a prescindere dal risultato. E con questo risultato, biglietti e sciarpe e qualsiasi cosa sarebbero finiti direttamente in cornice. L’abbiamo vissuta tutti come all’andata, ognuno nel proprio metro quadro. Solo che l’altra volta era silenzio, e rassegnazione. Stavolta, erano boati che svegliavano le nonne nei condomini. Gol di Ilicic e Gosens. Ilicic, come a Dortmund e come a Valencia. Gosens, come a Kharkiv contro lo Shakhtar. Nomi che ritornano, sorrisi che rivediamo. E una difesa che all’improvviso, contro nomi da brividi lungo la schiena, è sembrata insuperabile. La squadra più forte del mondo, o quasi, non ha mai tirato in porta all’Atalanta nel suo stadio. Vedremo se Gasp con questo capolavoro avrà trovato il bandolo dell’equilibrio: se davvero fosse, sarebbe una notizia straordinaria. Si vince, con mille attaccanti in rosa, giocando senza centravanti. Incredibile.
Ma una nota a parte non può che meritarla Josip Ilicic. Perché questo gol l’ha cercato, l’ha sospirato, l’ha probabilmente maledetto tra una partita e l’altra. E anche prima di questa partita, non tutti hanno gradito l’insistenza di Gasperini nel metterlo in campo, lui spremuto dalle nazionali e in campo anche sabato con lo Spezia. Invece, il calcio e il destino quando vanno a braccetto combinano magie di questo tipo.
Ha vinto anche l’Ajax, ma ora il peso del girone è tutto spostato a favore dell’Atalanta, e l’ultima partita ad Amsterdam potrebbe non essere più decisiva. Ci sarà tempo per fare i conti, nelle prossime ore. Adesso manca la lucidità, perché è troppa la gioia di questa vittoria che vale un trofeo, in una bacheca come la nostra. Ed è troppa la voglia, già adesso che i nostri sono ancora negli spogliatoi, di rivedere l’Atalanta in campo. Sabato c’è il Verona, e una vittoria così può essere l’interruttore che scatta, che poi non ti fermi più. Siamo qui, tutti nel nostro metro quadro, che non si può nemmeno festeggiare. Ma l’Atalanta lo sa: migliaia e migliaia di cuori battono insieme. E nel silenzio, sanno come farsi sentire.