C erto che siamo proprio cambiati tanto. Anni fa, si diceva: che ci vai a fare in Europa, che poi è un impiccio e per fare qualche partita magari poi rischi anche di retrocedere. Poi l’inizio del cambiamento di mentalità, complice l’arrivo di Gasperini, che fin dalle prime interviste, pur parlando di salvezza, fu chiaro: poi alzeremo l’asticella. Solo che l’asticella s’è alzata subito, subitissimo. E in quell’anno, quello del quarto posto finale, per mesi l’Europa quasi nemmeno la si poteva nominare. Scaramanzia un po’ paesana, forse. Fatto sta che arrivò quell’Europa League, e non fu Champions al primo colpo soltanto perché il quarto posto non la garantiva. Lione, Apoel, Everton. Sembrano preistoria, nel tritacarne del calcio di oggi. Ma era solo l’altroieri. Poi Borussia, il muro giallo, le lacrime di Percassi, la papera di Berisha. E le altre lacrime di Copenaghen, quell’inutile dominio reso vano dai rigori, la forza di ripartire, di risalire, di rigenerarsi fino al quinto, anzi al quarto, stai a vedere che puntiamo alla Champions.