T utto quel che poteva succedere di brutto, di negativo, di sfortunato, è capitato. L’ammonizione assurda che ha tolto dalla partita l’attaccante più forte dell’Atalanta. Quel gol d’imbucata, a freddo, che era un marchio di fabbrica - in negativo - dell’Atalanta e che pareva un brutto ricordo del passato. E invece, ti ricapita proprio lì, sul prato dell’Olimpico, nella notte più importante dell’anno (finora). E poi quel tiro di Lookman deviato che pareva destinato a morire in porta, e invece sopravvive sul fondo. Gasp prova quel che può, per scardinare il calcio preistorico di Allegri, che prevede una sola regola: se per caso segni, poi tutti rigorosamente, inevitabilmente indietro, a comporre un muro di gomma contro cui far sbattere le avversarie. Chissenefrega di chi paga il biglietto, di chi paga le tv, conta solo vincere. E certo che conta vincere, nessuno lo nega. E quanto brucia questa terza finale su tre - dell’era Gasp - persa proprio sul più bello. E persa, paradossalmente, senza essere riusciti nemmeno a somigliare all’Atalanta migliore. Quella feroce, soffocante, vista solo domenica sera al Gewiss contro la Roma, stavolta è forzatamente lenta, prevedibile, disperatamente alla ricerca di un buco in quel muro di maglie bianconere.