I nutile nascondersi e far finta di niente: battere la Lazio, e batterla così, ha un sapore diverso. Un gusto in più. Perché la Lazio rappresenta tutto quel che l’Atalanta non è, non sarà, non è mai stata. Battere la Lazio adesso vuol dire mettersela dietro di 5 punti e soprattutto 5 posizioni: non un abisso, ma un po’ ci somiglia. L’abisso lo si è visto in campo, ed è quel che più conta, al netto di una rivalità che mai sarà colmabile. E’ stato un abisso tecnico e tattico, aumentato da uno strapotere fisico per almeno il 75% del tempo trascorso sul campo. L’Atalanta attuale è una squadra giocabile, in questo campionato, forse soltanto per Inter e Juventus. Il resto soccombe perché l’Atalanta arriva prima sulle palle, ha soluzioni tecniche vincenti, e soprattutto mette in campo con continuità quel che per tanto tempo s’è visto solo a sprazzi: la «fame». Quella voglia di vincere e di arrivare a risultati importanti che tanti anni di Europa avevano forse un poco appannato. E invece adesso questa squadra va in campo schiumando fame di vincere. La stessa fame che ha la sua gente, che ha il suo allenatore. Oggi la simbiosi è perfetta: finita una partita c’è subito voglia della successiva, e nessun avversario pare essere un ostacolo insuperabile. Più che il Genoa, vorremmo quasi l’Inter, domenica prossima. Perché adesso niente, veramente niente, è impossibile. Anche in termini di obiettivi, dato che i 39 punti raggiunti mettono via il primo pensiero stagionale, quello che ormai è poco più di un rito scaramantico: il mantenimento della categoria, tanto caro (giustamente, senza nessuna ironia) alla proprietà, è in cassaforte. Sotto col resto.