D ue gol, tre punti, terzo posto. Queste sono le cose che contano quando mancano sei giornate alla fine del campionato e ti giochi obiettivi pesantissimi. Tutto il resto conta quasi niente. Non conta più come ci arrivi, se con lo spettacolo o con la «speculazione». Conta solo vincere. E l’Atalanta, finalmente, ha vinto. Ha vinto in casa, è tornata a segnare. E l’ha fatto perché hanno risposto all’appello del momento i suoi giocatori simbolo. Carnesecchi, Djimsiti, Toloi, de Roon, Zappacosta, Retegui. E l’ha fatto perché finalmente una partita è stata approcciata con lo spirito giusto, aggredendo la partita anziché subirla. E sarà un caso, ma dopo una ventina di minuti il risultato era ipotecato. E poi non si è dovuto inseguire ma farsi inseguire, e poi non si è andati in affanno per rimontare e nemmeno si è subìto l’affanno altrui. L’esito è un terzo posto riconquistato dopo il temporaneo sorpasso della Juventus, un bel solco scavato sul Bologna, la fiducia che pare ritrovata. Niente, nel calcio, è meglio di una vittoria per recuperare morale. Tutto risolto? No, non è tutto risolto. Non abbiamo visto certamente la miglior Atalanta di questi anni. Ma contava la testa, e la testa ha detto che l’Atalanta adesso c’è, sintonizzata sul suo obiettivo.
1. Le scelte e la testa
Più che ragionevoli nella formazione, finalmente raddrizzata la preparazione della partita e lo spirito della squadra. Certo una reazione prima o poi doveva arrivare, e sarebbe stato tantissimo allarmante vedere di nuovo una squadra ferma e spenta nonostante tre sconfitte consecutive. Invece Gasp e l’Atalanta hanno dimostrato che ci credono, che la Champions è un obiettivo che «sentono», anche se poi chissà il futuro dove porterà il mister e alcuni dei giocatori più importanti. Perché alla fine quel che conta di più è la testa, e stavolta la differenza è stata nettamente a favore dell’Atalanta.