Q uando uno dei capolavori della letteratura marocchina in lingua araba viene pubblicato per la prima volta, Walid Regragui non era ancora nato. Non era in Maghreb quando, nei primi anni ’90, il libro inizia a circolare segretamente tra le mani e le menti assetate di libertà della gioventù di Casablanca e Rabat. A distanza di una trentina d’anni da quel subbuglio sommerso che ha smosso le coscienze berbere, il commissario tecnico, francese di nascita, ha incarnato e simboleggiato adeguatamente il sentimento espresso dal classico di Mohamed Choukri. Pochi, pochissimi di noi ne hanno letto le pagine. Al più ci siamo imbattuti nell’omonimo film del 2005. “Il pane nudo” è un romanzo autobiografico dalla potente espressività, che racconta con la dovuta dose di crudeltà e durezza l’adolescenza dell’autore. Erano gli anni ’40 e ’50, nei quali il Marocco sta rivendicando la propria autonomia dalla dominazione franco spagnola. Choukri scrive dei tormenti e dei tumulti dell’adolescenza aggredendo con immediata efficacia l’ambiente sociale e politico del tempo. Siamo nel 1973: le dispute nel Sahara Occidentale sono all’ordine del giorno e un’opera come “Il pane nudo” è pericolosa. Deve essere ostracizzata per evitare che sobilli ulteriormente i bollenti spiriti. Il romanzo, prima parte di una trilogia, si conclude in realtà con un lieto fine. Mohamed conosce la fame, la corruzione, la prostituzione e la fuga, ma si salva. La spregiudicatezza, il desiderio di vivere e la sopravvivenza della libertà trovano terreno fertile a contatto con la cultura. Mohamed si salva iniziando a scrivere delle proprie disgrazie: a proteggerlo, dunque, il desiderio di conoscere e apprendere.