La guardi, e vedi Emiliano. Nei gesti, negli sguardi, nei toni. Clara Mondonico, la figlia di Emiliano, è stata ospite ieri della videochat di Corner, andata in diretta (e ancora visibile ovviamente) sulla pagina Facebook. Quaranta minuti circa a cuore più aperto che mai, per raccontare non solo l’Emiliano allenatore, che tutti conosciamo, ma soprattutto un uomo, un padre. Emiliano Mondonico a casa, padre e marito, nei momenti in cui il calcio doveva lasciare spazio alla famiglia. Questo il racconto di Clara, a pochi giorni dal primo anniversario della morte di Emiliano, il 29 marzo. Il Mondo sarà poi ricordato in una messa sabato prossimo, 30 marzo, alle 18, nella chiesa di Rivolta d’Adda.
Clara, partiamo dal futuro. Dopo la scomparsa di Emiliano, è partita la fondazione a lui dedicata.
«La fondazione è nata un anno fa, quando mi sono detta che non potevo permettere che tutto finisse, che i suoi pensieri, i suoi valori, morissero con lui. La fondazione collaborerà con l’associazione L’Approdo, con la Passione di Yara e con la Nazionale di calcio amputati. Nei momenti più bui penso che se ce la fa chi vive drammi enormi, posso farcela anche io, non si può mollare. Questa fondazione era l’unico modo per andare avanti a essere la sua squadra, per non fare andare via papà, per tenercelo qui».
È questo il valore che ha lasciato Emiliano? Non mollare mai, saper vincere nell’umiltà della sfortuna?
«Io sono contentissima di una cosa: prima dell’allenatore, di mio papà si ricorda l’uomo. La gente sta ricordando soprattutto i suoi valori, prima che le sue vittorie. Di questo sono contenta, e orgogliosa. Mio papà era sempre lo stesso, al campetto dell’oratorio o in finale di Coppa Uefa. La gente lo ha capito».
Clara, i calciatori di Emiliano hanno sempre raccontato un allenatore fine psicologo, capace di ottenere grandi reazioni anche solo con una battutina. Era così anche a casa?
«No, no. Averlo come papà è stata una grande fortuna. Lui era sempre al secondo posto, prima c’era la sua famiglia, nonostante un lavoro che lo portava via spesso da casa. Coi giocatori, lui cercava di farli arrabbiare per scatenarli sul campo».
Ma quando voleva ottenere qualcosa dalle sue figlie?
«Non ce n’era bisogno. Io ho sempre creduto solo in una persona, il mio papà. Da piccola, mi alzavo tutte le notti e mi mettevo accanto al letto dei miei genitori, aspettando che mia mamma si svegliasse e si alzasse. Io dovevo stare accanto al mio papà. Ho sempre amato mio papà, e come lui non ci sarà mai nessuno».
Però anche lui si sarà arrabbiato almeno una volta, per davvero...
«Uh sì, una volta sì. Era estate, rientra e mi trova lì a guardare i cartoni animati. Per lui era illogico, con una bella giornata, restare a guardare i cartoni. Si arrabbiò tantissimo, al punto che mi diede un calcio, senza ovviamente farmi male, ma voleva che me ne andassi da quella televisione. Fu un caso unico, perché quando c’erano problemi grandi era la mamma a sistemarli. Era insicuro, a volte. A casa non era come in campo, ovviamente».
Su quali aspetti era insicuro?
«Nella vita, se aveva un’idea la portava avanti, ci mancherebbe. Ma nelle decisioni, ha sempre voluto avere la mamma al suo fianco. Sono stati insieme tantissimi anni, lei non lo ha mai lasciato una volta. Di fronte a mia mamma e mio papà penso che esistano davvero le coppie che sono nate per stare insieme».
Papà Emiliano metteva qualche divieto alla bimba Clara?
«Non particolarmente. Magari aveva più paranoie quando cominciavo a uscire il sabato sera, specie nei periodi in cui non lavorava. Se vedeva che non tornavo, si agitava. E piano piano la mamma gli ha fatto capire che eravamo cresciute. Sono anche andata a Bologna a studiare, a un certo punto, perché nella vita è giusto fare così. Ma poi dopo la laurea sono tornata, perché senza i miei genitori non riuscivo a stare. E io spero che lui, sia contento di quello che ho fatto e di quello che sto facendo per lui».
Quando la bimba Clara ha capito che lavoro faceva il suo papà?
«Subito. La prima volta che l’ho visto in tv è stato “devastante”, da piccola non capivo tanto. Però ero abituata a vederlo sul giornale, sull’album delle figurine... era un lavoro come un altro anche perché non faceva il divo, e ci teneva a vivere a Rivolta. Ci siamo mossi da lì solo per andare a Torino. Mi spiaceva non andare allo stadio, perché non voleva. La prima volta siamo andati a Cremona, per una partita contro il Milan, senza dirglielo. E che succede? Che ci siamo presentati fuori dagli spogliatoi, e quando lui è uscito s’è beccato degli insulti. Come ci ha visti, si è arrabbiato tantissimo. Non voleva che sentissimo, e per tanto c’è stato questo divieto dello stadio».