G ià prima dell’insorgere del coronavirus il calcio italiano non godeva di grande salute: i bilanci erano per lo più in rosso, anche per somme ingenti (il Milan nel 2018/2019 ha fatto registrare una perdita di 146 milioni di euro), e i debiti complessivamente superavano i 4 miliardi di euro, oltre a crescere più velocemente dei ricavi. Una delle voci che contribuiscono al dissesto del calcio italiano ma di cui raramente si parla sono le provvigioni corrisposte dai club ai procuratori. Questa componente era praticamente inesistente nel Novecento perché allora gli agenti prendevano soldi solo dai loro assistiti, ossia i calciatori, come percentuale sugli ingaggi. Fino alla sentenza Bosman del dicembre 1995 il pallino del gioco era nelle mani delle società calcistiche che potevano disporre a piacimento dei calciatori: anche se un tesserato arrivava a scadenza di contratto, poteva andarsene solo dietro il pagamento da parte del nuovo club di quanto richiesto dal club di origine.