T re grandi giocatori della storia dell’Atalanta raccontano le tre finali di Coppa Italia più antiche, le precedenti rispetto all’era Gasperini. Pier Luigi Pizzaballa per la finale del 1963, Marino Magrin per la finale del 1987, Daniele Fortunato per la finale del 1996. Ecco i loro articoli.
Pier Luigi Pizzaballa
Q uel giorno non eravamo certo noi i favoriti, ma riuscimmo a ribaltare il pronostico alzando al cielo la Coppa Italia. Come? Con una partita perfetta, giocata con spirito battagliero e anche un filo di incoscienza e spregiudicatezza. Forse il Torino ci prese un po’ sottogamba: pensavano di avere non dico la vittoria in tasca, ma quasi, e per questo probabilmente ci rimasero così male a fine gara. Fu decisiva la nostra serenità, la spensieratezza di fondo, la tranquillità con cui approcciammo il match. E poi a fare la differenza contribuirono soprattutto la spinta del centrocampo e un Domenghini travolgente, caparbio in ogni azione e in giornata di grazia. Il suo potenziale fisico mise in crisi la fase difensiva granata sin dai primi minuti. Segnò subito indirizzando la partita e poi fece tripletta. Quelli del Toro se lo vedevano arrivare da tutte le parti e non riuscivano a capire come fermarlo. Per quanto mi riguarda non fu una partita con tanti interventi. I miei compagni riuscirono a gestirla bene e con rischi limitati.
Mister Tabanelli, poi, fu bravissimo a preparare la sfida mantenendoci sempre tranquilli e con la tensione giusta. Vincere quel trofeo è stata una gioia immensa, sorprendente, per certi versi inattesa. Per noi in campo e per i tifosi che ci avevano seguito a Milano come sempre con grande entusiasmo e passione. Purtroppo i festeggiamenti durarono poco. Il giro del campo con la Coppa Italia e stop. Stavano arrivando infatti brutte notizie sulle condizioni di Papa Giovanni. E il sentimento di gioia per una vittoria storica lasciò presto il posto a una grande tristezza.